Senza le sue ricerche oggi non esisterebbero i vaccini contro il papilloma virus (Hpv). Quegli stessi vaccini al centro della polemica politica in Italia nei giorni scorsi, dopo la puntata di Pasquetta di Report. Ricerche che nel 2008 sono state premiate con il Nobel per la medicina. Harald zur Hausen, classe 1936, professore emerito di virologia al German Cancer Research Center dell’University of Heidelberg, che ha diretto per anni, nel 2008 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento “per la sua scoperta del papilloma virus come causa del cancro della cervice uterina” (sul sito della Fondazione la sua Nobel Lecture). “Le infezioni persistenti da Hpv – si legge nelle motivazioni del Nobel – provocano più del 5% di tutte le forme di cancro al mondo”. Harald zur Hausen ne ha fatto la materia dei suoi studi. È lui che per primo ha identificato e clonato i ceppi Hpv16 e 18, che sono correlati al 70% di questi tumori.
Il Fattoquotidiano.it lo ha raggiunto in Germania, durante la settimana dell’immunizzazione – voluta dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’uso dei vaccini -, per chiedergli a che punto è la ricerca sul virus Hpv, e quanto sono importanti e sicuri i vaccini contro questo agente infettivo.

Qual è lo stato attuale della ricerca sull’Hpv?
Per quanto riguarda le misure preventive, la ricerca scientifica è molto avanzata. Il vaccino, ad esempio, è estremamente efficace, ed è uno dei più sicuri tra tutti quelli al momento disponibili. Quel che non è stato ancora raggiunto come risultato è la vaccinazione di persone che hanno già acquisito l’infezione virale.

Quanto è importante, secondo lei, vaccinarsi?
Per le donne vaccinarsi significa che più del 10% dell’incidenza globale delle forme di cancro legate all’Hpv può essere prevenuta. Per gli uomini, invece, la percentuale è un po’ più bassa, del 6%. Penso che la vaccinazione sia stata finora un successo. L’aspetto più svantaggioso, forse, è che è troppo costosa in quelle regioni del mondo che ne hanno maggiormente bisogno, i Paesi in via di sviluppo.

Lei parla di efficacia e sicurezza del vaccino anti Hpv. Molte persone, però, sono scettiche sui vaccini, con particolare riferimento alle cosiddette reazioni avverse. Cosa si sente di dire loro?
Le reazioni avverse contro i vaccini per il papilloma virus sono estremamente rare. Se non prendiamo in considerazione gli arrossamenti sul sito di vaccinazione, alcuni dolori nelle prime 24 ore e, molto occasionalmente, un po’ di febbre, la sola reazione avversa più seria osservata è una forma di allergia contro la proteina presente nel vaccino. Questa reazione si verifica in un caso ogni 100mila dosi di vaccino. Uno degli aspetti principali è che le persone non vaccinate contro l’Hpv rappresentano un fattore di rischio per i loro partner sessuali.

Quanti ceppi di Hpv esistono?
Conosciamo, al momento, più di 200 tipi di papilloma virus in grado d’infettare l’uomo. Ma solo una quindicina, all’incirca, è considerata ad alto rischio. È, cioè, collegata allo sviluppo di specifiche forme di cancro, come il cancro alla cervice uterina, alla cavità orofaringea (trasmesso attraverso la pratica del sesso orale), all’ano e ai genitali. Il papilloma virus è il più comune tra gli agenti sessualmente trasmissibili: colpisce, infatti, tra il 50% e l’80% della popolazione.

Quanto è comune il collegamento tra malattie infettive e cancro?
Oltre all’Hpv esistono tanti altri virus collegati a forme di cancro nell’uomo. Come ad esempio, i virus dell’epatite B e C legati al cancro al fegato, o il virus Epstein-Barr, connesso a forme di linfomi. Penso che in futuro si scopriranno sempre più legami tra malattie infettive e cancro.

Perché l’Hpv è così pericoloso per la salute umana?
Perché è in grado d’infettarci senza che, molto spesso, ce ne accorgiamo. Ci vogliono, infatti, tra 15 e 30 anni prima che il cancro possa svilupparsi dopo un’infezione persistente di Hpv. Sono circa 500mila le donne colpite ogni anno, in tutto il mondo, dal cancro alla cervice uterina. E, approssimativamente, il 50% di loro alla fine muore.

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