“Anche in Lombardia si facciano concorsi ad hoc per l’assunzione di ginecologi non obiettori, come avvenuto nel Lazio”. La richiesta arriva dai consiglieri lombardi del Pd in una regione dove il passaggio dal potere formigoniano legato a Comunione e liberazione a quello del leghista Roberto Maroni non ha portato a grossi cambiamenti per quanto riguarda l’attuazione della legge 194 sull’aborto. Con le donne che, come accade anche in altre parti d’Italia, subiscono spesso limitazioni al diritto di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Lo dimostrano i dati raccolti dal Pd nelle varie strutture ospedaliere, che descrivono una situazione in cui ancora più di due medici su tre sono obiettori di coscienza. E dove per l’interruzione di gravidanza si ricorre alla pillola RU486, meno invasiva dell’intervento chirurgico, solo nel 6,7% dei casi. “Su questi temi – fa notare il capogruppo del Pd al Pirellone Enrico Brambilla – l’Italia è stata richiamata perfino dal comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, come prima dal Parlamento Europeo. E la Lombardia si conferma tra le regioni italiane più riluttanti e meno avanzate su questo fronte”.

“Ginecologi tutti obiettori in sei ospedali”
Secondo i dati raccolti dal Pd nelle strutture lombarde, i ginecologi che nel 2016 si sono rifiutati di eseguire interruzioni di gravidanza sono stati il 68,2%. La percentuale è di poco inferiore al 70,7% di media nazionale, ultimo dato (riferito al 2014) che è stato reso noto dal ministero della Salute nella relazione annuale sull’attuazione della legge 194. Ma la situazione lombarda, secondo la vicepresidente del consiglio regionale Sara Valmaggi, preoccupa per le caratteristiche “a macchia di leopardo”, già denunciate dal Pd in passato, che rendono di fatto impossibile, o molto difficile, abortire in alcuno strutture. In ben sei ospedali sui 63 totali della regione, per esempio, tutti i ginecologi sono obiettori: succede a Iseo, Sondalo, Chiavenna, Gavardo, Gallarate, Oglio Po. In altri dieci presidi la percentuale di ginecologi obiettori è tra l’80% e il 99%, mentre solo in cinque strutture l’obiezione è inferiore al 50%. Tra le soluzioni impiegate per far fronte a questa situazione c’è la rotazione dei ginecologi non obiettori per coprire più ospedali. Oppure il ricorso a personale esterno, i cosiddetti ‘medici gettonisti’, per i quali nel 2016 – sottolinea il Pd – sono stati spesi 153mila euro. Tutte misure che secondo Valmaggi sono “di tipo emergenziale e di scarsa efficacia”. Di qui la richiesta a Maroni: “La giunta – dice Valmaggi – proceda all’assunzione di medici ginecologi non obiettori tramite concorsi ad hoc, così come è stato fatto in Lazio dal governatore Zingaretti”. Una proposta sostenuta anche da Sel, che con Chiara Cremonesi annuncia la presentazione di una mozione che porti a iniziative finalizzate a garantire l’applicazione della legge 194. Ma l’assessore al Welfare Giulio Gallera rispedisce ogni richiesta ai mittenti: “Regione Lombardia garantisce a tutte le donne con professionalità, tempestività, ed efficacia la libertà di scelta di interrompere volontariamente la gravidanza. Per questo non abbiamo necessità di ricorrere a concorsi per reclutare medici non obiettori”.

Le difficoltà a ricorrere alla pillola RU486
Nel commentare i dati raccolti, Brambilla e Valmaggi si soffermano anche sul numero di aborti avvenuti nel 2016 attraverso la pillola RU486: 927 dei 13.830 totali, il 6,6%. Il dato è in miglioramento rispetto a quello diffuso di recente dal ministero e riferito al 2015, pari al 5,1%. Ma se si fa un confronto con le altre regioni, in base ai dati ministeriali, la Lombardia è al sestultimo posto, ben lontana da Liguria (40,3% delle interruzioni di gravidanza nel 2015 sono avvenute con RU486), Piemonte (32,5%), Emilia Romagna (25,8%) e Toscana (20,1%). E ancora: in Lombardia 33 strutture su 63, il 52%, l’interruzione di gravidanza farmacologica non viene praticata. Questo soprattutto a causa dei paletti stringenti che, secondo il Pd, sono stati messi per limitare l’uso della pillola. Come per esempio la necessità per la donne che vogliano ricorrervi di passare tre giorni in ospedale, quando l’intervento chirurgico può essere eseguito in day hospital. Diversa la situazione delle regioni in cima alla classifica, come l’Emilia Romagna, dove anche la pillola può essere somministrata in day hospital, o la Toscana, dove la si può ricevere anche nei consultori.

Il “boom” della pillola dei 5 giorni dopo
In Lombardia, come nel resto d’Italia, negli ultimi due anni si è registrato un incremento nell’utilizzo della ElleOne, la cosiddetta ‘pillola dei 5 giorni dopo’ che, se assunta in tale arco temporale dopo il rapporto sessuale, ritarda o inibisce l’ovulazione, prevenendo così una maternità indesiderata. La sua diffusione è aumentata da maggio 2015, quando l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha eliminato l’obbligo di presentare in farmacia un test di gravidanza negativo e, per le donne maggiorenni, la prescrizione medica. Così nel 2016 le confezioni distribuite in Italia sono state 237.846, a fronte delle 16.798 del 2014. Discorso analogo per la Lombardia: 48.722 confezioni nel 2016 contro le 3.871 del 2014. Un andamento che Valmaggi, come del resto fa il ministero, mette in relazione con la diminuzione del numero di interruzioni di gravidanza: -9,3% a livello nazionale dal 2014 al 2015. 

@gigi_gno

Articolo Precedente

Migranti, risorsa o calamità? ‘Così li abbiamo accolti a casa nostra’

next
Articolo Successivo

Migranti, ddl per minori non accompagnati è legge: chi arriva solo non potrà essere respinto. Prima volta in Ue

next