L’Europa resta nel mirino del terrorismo jihadista e in Italia il rischio aumenta per via dei potenziali foreign fighter che scelgono di non partire e preparare attacchi sul territorio. E’ il quadro che emerge dal lavoro dei servizi di intelligence condensato nella relazione annuale illustrata a Palazzo Chigi, alla presenza del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: “I cittadini possono essere certi, non della mancanza di minacce perché ignorarle sarebbe una illusione, ma della qualità delle persone che lavorano per prevenire queste minacce – ha detto il premier – così come non dobbiamo ignorarle non dobbiamo agitarle per suscitare paure ingiustificate che sarebbe un pericolo altrettanto grave”, ha sottolineato Gentiloni in riferimento all’equazione tra immigrazione e terrorismo.

“Sul rischio di attentati nel nostro Paese i “principali profili di criticità continuano a provenire dalla possibile attivazione di lone wolves e self-starters, ovvero da elementi auto-radicalizzati“, ha spiegato Alessandro Pansa, direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Secondo cui tutta l’Europa rimane obiettivo di attentati: un’esposizione “testimoniata non solo da attacchi effettivamente verificatisi lo scorso anno, ma anche, ed è un dato che va ricordato, dalle numerose pianificazioni sventate o fallite, oltre che dal crescente numero di segnalazioni di progetti offensivi”. “Per quanto riguarda il fenomeno migratorio – ha sottolineato Pansa –  non esistono elementi di connessione con una strategia jihadista che voglia utilizzare i migranti per infiltrare e inviare terroristi in Italia. Rimane un rischio potenziale e la guardia è sempre alta”.

Sul fronte nostrano si fa invece “sempre più concreto” il rischio che alcuni soggetti “radicalizzati in casa” decidano di non partire verso Siria ed Iraq determinandosi “a compiere il jihad direttamente in territorio italiano“. Costoro, evidenzia la relazione, sono dediti ad “attività di auto-indottrinamento e addestramento su manuali on-line, impegnati in attività di proselitismo a favore di Daesh e dichiaratamente intenzionati a raggiungere i territori del Califfato”. Ma a causa delle crescenti difficoltà ad arrivare in quelle aree, questi soggetti potrebbero decidere di non partire e colpire qui. I servizi citano in proposito il caso – emerso nell’inchiesta “Terre vaste” – di uno straniero, partito dall’Italia nel 2015 verso il Califfato, che aveva esortato elementi presenti sul territorio nazionale a non raggiungere Siria o Iraq ma ad agire in Italia.

Dunque, in Italia come in altri Paesi europei, “alla flessione delle partenze di foreign fighters potrebbe corrispondere un aumento del rischio di attacchi ‘domestici’ da parte di una o più persone legate” da amicizia o parentela. La relazione sottolinea quindi la “pressante campagna intimidatoria” jihadista nei confronti dell’Italia, con immagini che ritraggono monumenti e lo stesso Papa: il tema dominante si è confermato quello dell’attesa della conquista di Roma. Gli 007 segnalano tuttavia i “successi ‘intangibili” del dispositivo nazionale di prevenzione, dimostrati dal pacifico svolgimento di eventi di vasta portata internazionale e valenza simbolica con l’Expo ed il Giubileo.

Non solo: la relazione segnala che oltre a rappresentare un “potenziale target di attacchi diretti”, l’Italia potrebbe costituire “un approdo o una via di fuga verso l’Europa per militanti del Califfato presenti in Libia o provenienti da altre aree di crisi”. Ma anche “una base per attività occulte di propaganda, proselitismo e approvvigionamento logistico, nonché una retrovia o un riparo anche temporaneo per soggetti coinvolti in azioni terroristiche in altri Paesi, come verosimilmente accaduto nel caso dell’attentatore di Berlino, Anis Amri“.

Ma il rischio resta alto in tutta Europa: nel continente sono ipotizzabili “ulteriori, cruente campagne terroristiche in corrispondenza con gli arretramenti militari del Califfato”si legge nella relazioni, che ricorda i diversi attentati del 2016 (Bruxelles, Nizza, Berlino, ecc.) e l’aumento di segnalazioni di “progettualità offensive da perpetrare in territorio europeo”. Un tracollo dell’Is in Siria ed in Iraq, secondo i servizi, potrebbe determinare “non solo uno spostamento di combattenti in altri teatri di jihad, ma anche un rientro nei Paesi di provenienza di mujahidin di origine europea e delle rispettive famiglie, bambini inclusi, la cui ‘disintossicazione‘ e integrazione saranno prevedibilmente complesse“. E tra le criticità la relazione segnala le difficoltà dei Paesi europei a censire i cittadini che hanno raggiunto i territori del Califfato, cosa che non ne rende poi agevole l’individuazione in caso di ritorno negli Stati di origine.

Sul fronte mediorientale, si legge nel report, aumenta per qualità e quantità il ruolo dei bambini. “I “leoncini del Califfato” rappresentano un elemento chiave nell’orizzonte strategico dell’organizzazione di Al Baghdadi. Nel corso del 2016, in corrispondenza con gli arretramenti territoriali di Daesh, ha assunto maggior rilievo nella propaganda la funzione dei più piccoli quale garanzia della prosecuzione del jihad per la conquista di “Damasco, Baghdad, Gerusalemme, Mecca, Dabiq, di Roma e dell’Andalusia”. “In questo contesto – sottolinea il rapporto – si inseriscono i numerosi video che ritraggono, ad esempio, giovani seduti tra i banchi di scuola o nei campi di addestramento, ma anche mentre compiono efferate esecuzioni di nemici dell’Islam”. “Al di là delle strumentalizzazioni mediatiche, la costante esposizione dei minori a così elevati livelli di violenza, unita al forte condizionamento ideologico subìto nella fase di formazione, concorre a delineare una minaccia di lungo periodo“.

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