Il collegio sindacale di Parmalat concorda con i soci di minoranza del gruppo di Collecchio: Lactalis e i manager del gruppo che avallarono il contratto di ‘cash pooling’ che nel 2011 accentrò nelle mani dei francesi la liquidità aziendale dovevano essere consapevoli della “dannosità” dell’operazione. Perciò sembrano sussistere “i presupposti giuridici e fattuali” perché il consiglio di amministrazione in carica chieda il risarcimento del danno ai “soggetti responsabili” della decisione. E’ quello che emerge dalla relazione dei sindaci all’assemblea, preparata in risposta alla denuncia ex articolo 2408 del codice civile presentata dal fondo Amber, pubblicata a due giorni dall’avvio dell’offerta di acquisto con cui Lactalis punta a ritirare le azioni Parmalat da Piazza Affari.

A fronte di un rendimento di 16,3 milioni di euro ottenuto da Parmalat investendo tra l’ottobre 2011 e il luglio 2012 la liquidità nel cash pooling, la società avrebbe potuto ottenere ulteriori 4,3 milioni di euro (oltre il 25% in più) se avesse puntato su depositi a breve, seguendo “una logica di ricerca di rendimenti ottimali”. “Sulla base delle risultanze dei consulenti” del collegio sindacale “sembra che la suddetta somma di 4,3 milioni di euro possa rappresentare un danno risarcibile, di cui Parmalat può chiedere ristoro a coloro che lo hanno arrecato”, scrivono i sindaci.

“Non pare dubbio infatti – affermano – che la decisione di impegnare la liquidità nel cash pooling sia stata assunta in conformità ad una preciso impulso” di Lactalis “per assecondare la realizzazione di una politica rispondente alle esigenze di quest’ultima”. Se Parmalat avesse investito in titoli di Stato italiani avrebbe incassato ancora di più (5,9 milioni di euro) ma le tensioni a cui erano ai tempi soggetti i Btp, secondo i sindaci, potevano giustificare la decisione di dirottare altrove la liquidità.

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