Quando ero giovane e vivevo a Salerno ogni qual volta dovessi rinnovare la carta di identità prendevo l’automobile e andavo ad Ogliara, frazione alta della città. Qui, nell’unico sportello in cui mai nessun salernitano si sarebbe recato, due cortesi impiegati coccolavano il cittadino giunto sereno con le quattro brutte foto da inserire sul documento come accade a quei viandanti arrivati dopo lungo peregrinare nel ristorante dove non entra mai nessun cliente. Bei tempi.

Trasferito nella Capitale ho scontato il disagio di stanzoni pieni e vocianti in cui attendere pazientemente che lo Stato mi fornisse, di volta in volta, con più o meno fatica, con più o meno sbuffi, con più o meno richiesta di monete, le certificazioni richieste. Questo fino a stamani, martedì 17 gennaio, anno del signore 2017.

L’ultima volta che ero finito in questo luogo ero arrivato attorno all’alba. Freddo, sonno, sesto in fila. Una mezz’ora e ne ero uscito con il prezioso pezzo di carta e una certa soddisfazione per l’acume dimostrato.

Poi l’altra sera la mia compagna, santa donna, mi ripropone quegli occhioni di quando devi andare a fare qualcosa comunque di non piacevole, ma che tocca a te e non puoi scanzarla: “Servirebbe uno stato di famiglia…”. Servirebbe. Io, da compagno di vita navigato, rispondo pronto: “Sì, così faccio anche la carta d’identità”, semidistrutta da mesi.

Eccomi dunque. Undici di mattina. Non c’è coda. La circostanza dovrebbe insospettirmi ma non lo fa. Arrivo al banco dell’accoglienza e le gentili signore mi mostrano “il macchinario”. Anche qui nessun sospetto: pare la stessa macchinetta che distribuisce numeri per tagliare le code ed evitare sanguinose risse. L’apparenza inganna.
“Deve inserire la sua tessera sanitaria sotto il lettore”. Tessera sanitaria? Lettore? “Sì, qui sotto, per l’appuntamento”. “Appuntamento? Sono qui…”.

Il nuovo macchinario in dotazione all’anagrafe capitolina non è l’applicazione della tecnologia alla burocrazia ma il suo esatto contrario: l’applicazione della burocrazia alla tecnologia. Come un algoritmo che ti manda a sperdere.

Una volta inserita la tessera sanitaria sotto il lettore ecco che lo schermo sovrastante si illumina mostrando una paginata di date e orari: “Quando vuole fare lo stato di famiglia?”. “Oggi?”. La macchina non prevede che un certificato rilasciato a vista traduca il fatto che uno va in Comune e glielo danno. “Può scegliere da domani in poi… Vuole domani?”. “No, ho già preso stamattina per venire qua, domani non posso”. Patteggiamo per venerdì. Digitato il giorno ecco la determinazione dell’orario: venerdì alle 11.55.

Mentre già mi adagiavo all’idea che i due documenti si potessero chiedere allo stesso sportello nello stesso giorno (tempo di lavoro effettivo 7 minuti netti), la cortese signorina mi ammonisce: “Adesso deve fare la richiesta per la carta d’identità, ma non sarà presto, è quella elettronica”. A quel punto sono in loro totale balìa, della signora e del macchinario. Rimetto la tessera sanitaria sotto il lettore e si apre direttamente la schermata di febbraio. Non è previsto che ti rilascino la carta d’identità entro la fine del mese e sono già presi anche più della metà dei giorni di febbraio. Se tutto va bene avrò la mia carta d’identità il 22 febbraio, attorno alle undici di mattina. Porto via le mie nuove quattro brutte foto e vado al lavoro. Quanta nostalgia di Ogliara.

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