“Ho lavorato mesi per delle scuole paritarie senza prendere un centesimo di euro”. Milena, 30anni, una famiglia alle spalle, non è l’unica. Dati precisi non ci sono ma dietro l’anonimato sono in decine a parlare, a svelare come funzionano molte scuole paritarie. Eppure la legge di Bilancio approvata nei giorni scorsi, prima che cadesse il Governo Renzi, ha aumentato di 25 milioni i fondi all’infanzia paritaria, ha previsto 24 milioni ad hoc per gli istituti frequentati da disabili ed ha aumentato il tetto di detraibilità per le famiglie che non scelgono la scuola pubblica. Il motivo per cui i prof stessi accettano queste condizioni? Ottenere punti in graduatoria.

Numeri che hanno fatto indignare Paolo Latella, membro dell’esecutivo nazionale del sindacato Unicobas Scuola e segretario regionale della Lombardia che da anni denuncia come in molti istituti paritari, soprattutto del Sud, la mancata retribuzione dei docenti sia una prassi diffusa. E, sostanzialmente, un ricatto ai professori. “Ogni giorno – spiega Latella – mi arrivano segnalazioni da ogni parte d’Italia che descrivono una situazione allarmante. Sia chiaro, ho conosciuto anche scuole paritarie dove i docenti vengono retribuiti e dove la qualità è altra ma sono ancora troppe le realtà che sfruttano gli insegnanti”.

Lo sa bene Melania che in Campania conosce decine di colleghe che hanno vissuto questa sorta di “schiavitù” moderna: “Non le posso dire nome e cognome delle scuole, perché potrei aver bisogno di lavorare ancora con loro ma ho sempre lavorato in secondarie superiori. L’ultima volta è stato proprio quest’anno prima di avere un contratto di 19 ore dalla statale. Ho fatto la docente per un istituto tecnico industriale, per un liceo psico pedagogico, per un commerciale e un liceo classico. In tutto cinque-sei anni. La prima volta non ho percepito nulla. La seconda esperienza mi hanno dato un rimborso spese di 100 euro circa. In altre scuole non ho visto nemmeno un regalo a Natale. Devo essere sincera, si lavorava bene dal punto di vista didattico, i plessi erano funzionali; l’unico problema è che noi non venivamo pagati”.

Melania una volta assunta firmava persino un contratto che citava il Ccnl: “Ogni mese prendevo anche una busta paga con una cifra che non corrispondeva alle ore fatte. Molti contributi erano solo figurativi”. Tutto regolare sulla carta ma non nella realtà: “Quando ho cominciato sapevo già che la situazione era quella. Ho cominciato da loro perché amavo insegnare e nel frattempo ho ottenuto il punteggio necessario alle graduatorie”.

Una storia comune. Giusy, giovane palermitana nelle scorse settimane ha denunciato all’Unicobas la sua situazione: “Mi sono laureata nello scorso mese di marzo in matematica. Il mio sogno è sempre stato quello di insegnare. In attesa del nuovo ciclo di abilitazione ho deciso di inviare il mio curriculum a tutte le paritarie di Palermo. Due di loro mi hanno contattata per un colloquio. Entrambi i dirigenti mi hanno proposto di insegnare per nove ore matematica e fisica ma la sorpresa è arrivata quando abbiamo iniziato a parlare di retribuzione: entrambi mi hanno assicurato che avrei avuto una regolarissima busta paga ma che non avrei percepito uno stipendio. Allibita al solo pensiero di dover dichiarare il falso, di dover firmare di aver ricevuto dei soldi mentre in realtà non avrei visto un euro ma avrei dovuto pagare le tasse ho rinunciato a quel posto che mi avrebbe dato 12 punti e la disoccupazione”. Un fenomeno che non riguarda solo il Sud ma anche città come Varese, dove Massimiliano ha lavorato in una paritaria con un contratto a progetto di 12 ore lorde all’ora.

“Dati non ne abbiamo ma il problema è noto. Questa situazione – spiega Latella – deve emergere al più presto. I colleghi che accettano di lavorare in questo modo devono stare attenti. Questo è solo sfruttamento. Sono a conoscenza di istituti che pagano ma fanno lavorare molto di più i docenti, di là delle ore pattuite”.

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