Non sono solo appendici nelle mani di adulti e ragazzi, i telefoni stanno facendo sempre più parte dell’intrattenimento dei bambini, anche piccolissimi. Durante una riunione, un bambino di tre anni comincia a fare chiasso. Mi annoio io, figuriamoci lui. Al primo strillo, la madre estrae il telefono e glielo porge: lui sa già cosa fare. Si è tolto sì e no il pannolino, ma tecnologicamente è già autosufficiente.

Qualche giorno prima, in un campetto di erba sintetica, al sole ancora bollente di fine estate, un gruppo di bambini tira calci a un pallone. Si allenano a tirar rigori. Sono sudati e sbrindellati, come devono essere i maschi a quell’età. Tempo cinque minuti non sento più i tonfi sordi del pallone di cuoio, mi giro. Quattro di loro sono seduti a terra, uno tiene in mano un tablet. Game over.

Sempre più spesso, ai giardini, alle feste di compleanno, alle cene tra amici, si arriva a un punto in cui qualcuno chiede a un genitore (quando non dotato lui stesso già di telefono) il permesso di giocare a qualche videogioco. E più veloce di un muro di Super Mario, l’uso del telefono crea tanti individui isolati, insieme tra loro. Stringersi a gruppetti per guardare inebetiti uno schermo non è la stessa cosa che giocare a nascondino, rincorrersi, giocare a palla bollata, a guardia e ladri o a bandiera. Non agevola la condivisione, è un intrattenimento passivo.

In mano a bimbi piccolissimi, variante hi-tech del ciuccio, è anche più dannoso. A quell’età scoprono il mondo attraverso il corpo. Le mani riescono a compiere quel che la testa comanda, afferrano con più precisione, si coordinano coi piedi. Impilano costruzioni, incastrano forme, fanno barchette di carta, aeroplanini, scarabocchiano fogli bianchi. A quell’età si superano ostacoli grandi come montagne, e dopo una giornata di esplorazione si arriva a sera sporchi ed esausti.

In entrambi i casi, più o meno cresciuti, perché privarli di quelle conquiste con cui noi siamo diventati adulti? Certo, crescerli è estenuante. I “no” sono merce di scambio, battaglie difficili da sostenere per lungo tempo; la loro determinazione è più tenace della nostra pazienza. Cedere il telefono per zittirli diventa un sollievo per tutti.

Il fascino del monitor è così seducente che quando le mie figlie mi chiedono di ascoltare una canzone al computer, nel momento in cui compare il video, la musica diventa secondaria all’immagine. Non ballano più, non cantano più, guardano solamente.

In tutta onestà, ci sono momenti in cui se non decomprimi rischi di esplodere. Rinunciare all’ausilio dei cartoni sarebbe molto vicino all’idea che ho io di masochismo. Ma se il computer di casa ha ancora il pregio di essere fisicamente inamovibile – e quindi maggiormente controllabile – il telefono si sposta con noi, non ci abbandona mai. Avete fatto caso in quanti camminano per strada con il cellulare stretto nella mano?

Da qualche giorno un’amica ha rimosso la televisione da casa, ai bambini hanno detto che si era rotto un cavo. Contro ogni previsione, se ne sono fatti una ragione. Di sera c’è molto silenzio, disegnano, il più piccolo ha fatto per la prima volta un puzzle da solo. Mi ha confidato che in realtà è stata più dura per lei. I cambiamenti sono più difficili per gli adulti, i bambini si adattano a tutte le situazioni. In fondo, levargli la tv potrebbe risultare più semplice che fargli mangiare verdure per una settimana di fila.

Quando C. ha invitato un suo amico undicenne a dormire a casa sua, verso l’una di notte sua madre si è svegliata ed è andata a controllare la stanza dei ragazzi. Suo figlio dormiva, l’altro giocava sul telefonino sotto le coperte. Gliel’ha tolto di mano e l’ha mandato a dormire, ma quando è tornata a letto era molto impensierita. Ogni volta che allunghiamo il telefono ai nostri bambini per noia o sfinimento sarebbe importante rendersi conto che li stiamo abituando a qualcosa di cui potrebbero diventare dipendenti in futuro.

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