Chi non si ricorda la pecora Dolly? La polemica sulla pecora clonata tracimò l’ambito scientifico ed etico e coinvolse tutti. A venti anni dalla sua nascita e a 13 dalla sua morte per infezione polmonare dopo aver sofferto per due anni di osteoartrite su Nature Communications è stato pubblicato un studio che dimostra che la discendenza di Dolly è più longeva e più sana di lei. La notizia è l’apertura del sito della rivista scientifica e il titolo è esplicito: “Dolly clones age well” (I cloni di Dolly vivono bene)

Debbie, Denise, Dianna e Daisy sono la discendenza diretta del primo clone di un mammifero. I progressi nelle tecniche sono stati tanti e le quattro pecore, tutte tra i 7 e i 9 anni, nate dalle stesse cellule di Dolly sono la prima dimostrazione di come i cloni possano vivere a lungo e in buona salute. A firmare lo studio Kevin Sinclair, dell’università di Nottingham, allievo di uno dei papà di Dolly, il biologo Keith Campbell. “È un risultato importante – ha spiegato all’Ansa uno dei pionieri delle ricerche sulla clonazione Pasqualino Loi, dell’università di Teramo perché dimostra che anche gli animali clonati crescono e diventano vecchi in modo normale”.

Dolly era stata ottenuta inserendo il nucleo di una cellula della ghiandola mammaria di una pecora adulta nell’oocita di un’altra pecora e una volta diventato embrione, trasferito nell’utero di una terza pecora. A soli 5 anni però Dolly mostrò i segni dell’insorgenza di osteoartrite, malattia considerata insolita a questa giovane età, e morì a poco più di 7 anni per infezione polmonare. Questi problemi medici sollevarono il dubbio che la tecnica potesse essere alla base di insorgenza precoce di malattie dell’invecchiamento, ma i dati pubblicati adesso rasserenano gli animi di tutti – ha commentato Loi – ed eliminano uno degli argomenti cardine su cui è stata approvata recentemente la messa al bando in Europa all’importazione di prodotti derivati da cloni“.

Dalle stesse cellule di ghiandola mammaria da cui nacque Dolly sono infatti nate altre quattro pecore che hanno oggi un’età tra i 7 e 9 anni (l’equivalente di 60-70 anni nell’uomo) e, secondo lo studio, non presentano nessun segno di malattie legate all’invecchiamento. Nelle tecniche di clonazione ci sono ancora un po’ di difficoltà ma in questi anni ci sono stati tanti passi in avanti. Bisogna pensare ai primi trapianti di cuore, se avessimo abbandonato dopo le prime difficoltà oggi non potremmo oggi salvare così tante vite umane”.

L’articolo su Nature

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