Cinema

La leggenda di Tarzan, il ritorno di Lord Greystoke targato Hollywood con il vampiro di True Blood Alexander Skarsgard

Diretta da David Yates, in sala in Italia dal 14 luglio 2016, la pellicola è una sorta di reboot o bignami di una serialità ante litteram, tratto dal romanzo di Edgar Rice Burroughs del 1912, a sua volta portato al cinema da decine di produzioni e attori, tra cui Johnny Weissmuller, Christopher Lambert e perfino Totò. Nel cast Christoph Waltz e Margot Robbie

di Davide Turrini

Un urlo un po’ moscio, addominali scolpiti, un che di malinconico ed enigmatico, e riecco Tarzan. Hollywood, chez Warner Bros, rispolvera l’icona più selvaggia del cinema che ha saputo mantenere il fascino, in oltre cento anni, tra una liana e l’altra, e nonostante la globalizzazione e la raggiungibilità del luogo esotico, attorno allo scontro/incontro civiltà e natura. La Leggenda di Tarzan, diretto da David Yates, in sala in Italia dal 14 luglio 2016, è una sorta di reboot o bignami di una serialità ante litteram, tratto dal romanzo di Edgar Rice Burroughs del 1912, a sua volta portato al cinema da decine di produzioni e attori, tra cui Johnny Weissmuller, Christopher Lambert e perfino Totò.

Qui il Lord Greystoke, che guarda fuori dai vetri grigi della sua magione inglese pensando ai tempi in cui i gorilla gli scaldavano il biberon, è Alexander Skarsgard. Parentesi: Skarsgard è il vero elemento disturbante e disturbato di questo film. Mettere in discussione operazione generale, scrittura, regia, perfino ripetitività dei comprimari, è lecito; ma bollare il biondo svedese, 40 anni, vampiro barista in tutte e sette le stagioni di True Blood, come anello debole della catena del kolossal, sarebbe errore rilevante. Dicevamo proprio del protagonista, pensieroso e meditabondo, che viene spinto dai rappresentanti della Camera dei Lord inglese a raggiungere il Congo su richiesta di re Leopoldo II del Belgio, per verificarne la bontà dei traffici coloniali. Lord Greystoke sembra titubante, ma dentro allo sguardo tenebroso di Skarsgard si compone già l’immaginario cupo e rischioso di una missione che presto si rivelerà pericolosissima e ipoteticamente mortifera.

Al fianco di Tarzan partiranno anche una saltellante e mozzafiato Jane, ma soprattutto l’americano George Washington Williams (Samuel L. Jackson) autore di un’opera di convincimento terzomondista che fa assumere, almeno nell’attacco, una dimensione politica al film di Yates. Williams teme, infatti, che sul suolo congolese Leopoldo – detto anche il macellaio del Congo ndr – abbia lasciato briglia sciolta all’avventuriero dandy Leon Rom (Christoph Waltz), che si sta costruendo una sorta di milizia privata dedita agli affari più biechi e riprovevoli ai danni della popolazione locale sterminata o ridotta in schiavitù. Dopo un inizio fosco La leggenda di Tarzan diventa immediatamente un classico d’avventura: tribù indigene buonissime e cattivissime; il villain Waltz/Rom che è, ca va sans dire, precipitato tutto puntiglio e sadismo da Bastardi senza gloria; il comprimario da fumetto, Williams/Jackson, che sdrammatizza con una battuta comica ogni momento tragico (“non penserai gli baci gli zebedei”, con un gorilla che lo sta strozzando); gli occhioni belli e il carattere da ribelle di Jane (Margot Robbie la vedremo presto birichina in Suicide Squad). Non che Yates – regista degli ultimi quattro Harry Potter – abbia recepito nel tempo il senso del ritmo per far saltare i suoi personaggi da una liana all’altra o che abbia idea di cosa voglia dire rimescolare animali in computer grafica con esseri umani dalla forza sovrumana (Jurassic Park non sembra aver insegnato nulla). Semmai è il cuore di tenebra africano, fiume, foresta e belve, a riportare una vena di sotterrato realismo al cinema d’intrattenimento per grandi e piccini (accompagnati).

Insomma, il Tarzan che torna sui suoi passi, in un flashback patchwork frammentario, e che affronta nemici umani ed animali (la lotta con il gorilla ricorda quella di Leonardo DiCaprio con l’orso in The Revenant, ma con un esito ben più spettacolare e tronfio), è un eroe tormentato e rancoroso, ben poco fisicaccio beefcake, animato da un desiderio di riscatto e rispetto per l’habitat natio diventato, senz’ombra di dubbio, radice ben più solida di quella aristocratica della famiglia d’origine. Set ricostruito completamente negli studios inglesi (a parte qualche foto/sfondo del Gabon poi integrato nell’inquadratura finale). Produce il celebre Jerry Weintraub (Karate Kid, Ocean’s Eleven), scomparso di recente, che si è tolto in tempo dalla testa la pazza idea di far interpretare Tarzan dal nuotatore Michael Phelps. Ma soprattutto: cercasi Cita disperatamente. Magari nel sequel.

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