Il procuratore di Arezzo Roberto Rossi potrà rimanere al suo posto. Ma la Procura generale della Cassazione dovrà ora valutare se i suoi comportamenti siano censurabili da un punto di vista disciplinare. Così il Consiglio superiore della magistratura (Csm), dopo quasi sette mesi densi di continui colpi di scena, prova a chiudere il caso del procuratore aretino, titolare dell’inchiesta su Banca Etruria finito nel mirino per la sua consulenza a Palazzo Chigi.  “Sulla base del materiale raccolto, non si ravvisano situazioni obiettive in grado di ostacolare il sereno esercizio della giurisdizione e di appannare l’immagine di credibilità della procura agli occhi della pubblica opinione”, ha sentenziato con 5 voti a favore e un astenuto la I commissione di Palazzo dei Marescialli in una delibera ora all’attenzione  del plenum. Chiamato anche a scrivere la parola fine su uno degli aspetti decisivi della vicenda deflagrata a dicembre grazie ad un articolo del Fatto quotidiano. E riesplosa, in successione, a colpi di scoop giornalistici.

Come quello di “Panorama” che aveva scoperto, nel frattempo, come Rossi fosse stato fin dal 2010 coassegnatario di un’indagine a carico di Pierluigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena, che in audizione il procuratore aveva negato in precedenza di conoscere:  “Non v’è traccia di interrogatori, confronti o occasioni procedimentali di compresenza tra Rossi e Boschi nei fascicoli che poi sono stati archiviati. In tal senso sembrerebbe confermato il dato rassegnato da Rossi di una conoscenza ‘puramente cartacea’ della figura del sig. Boschi, come tale considerata una ‘non conoscenza’”, si legge nella delibera di Palazzo dei Marescialli.

Ma sopratttutto per il Csm non sussistono profili per aprire una procedura di incompatibilità ambientale del magistrato. Aiutato, da questo punto di vista, dalla testimonianza del procuratore generale facente funzioni Francesco D’Andrea (l’ex procuratore Tindari Baglione è morto più di un anno fa e ancora non è stato sostituito) che ha rilevato come l’armonia dell’ufficio giudiziario non sia venuta meno, nonostante tutto. Ma anche grazie al presidente dell’Ordine degli avvocati di Arezzo, Piero Melani Graverini, che ha sostenuto a Palazzo dei Marescialli che Rossi ha continuato a godere della piena fiducia nell’ambiente forense locale. Il pezzo forte è stato però quello fornito dal prefetto, Alessandra Guidi.  Che nell’audizione di fronte alla I commissione del Csm ha sottolineato come i cittadini, pur imbufaliti per lo scandalo di Banca Etruria, non se la sono presa più di tanto con la procura. Se non incidentalmente durante la manifestazione del 28 febbraio scorso e con tre sit-in inscenati proprio di fronte agli uffici giudiziari. Ira che però non avrebbe “attinto” la procura, ma i vertici della Banca e tuttalpiù il governo. Insomma lo ‘strepitus fori’ che sarebbe stato lesivo della credibilità dell’ufficio non c’è stato: Rossi può rimanere dov’è.

Il plenum passa la palla alla procura generale per gli eventuali profili disciplinari. Non prima però di aver inserito la sua deliberazione nel fascicolo del magistrato “ai fini delle valutazioni di competenza di altre commissioni”. Ma quali aspetti dovrà valutare il titolare dell’azione disciplinare? Il fatto che Rossi abbia proseguito l’incarico di consulente a Palazzo Chigi dopo l’apertura dell’indagine sul dissesto di Banca Etruria e in particolare dopo che era stato trasmessa in procura la relazione degli ispettori di Banca d’Italia. E ancora: l’omessa informazione al Csm sulla titolarità di indagini “che presentavano possibili profili di incompatibilità con la prosecuzione della consulenza” presso il Dipartimento Affari giuridici di Palazzo Chigi. E, infine, l’aver tenuto tutte le deleghe sull’indagine relativa al dissesto di Banca Etruria “in costanza dell’incarico con il dipartimento governativo”.

Di questi tre aspetti si è occupato anche il Csm raccogliendo tutto gli elementi utili alle valutazioni del procuratore generale presso la Cassazione. “In occasione della prima domanda l’interessato ha inviato al Csm un’autocertificazione (nel 2013, ndr) attestante l’assenza di cause di incompatibilità con il ruolo giudiziario esercitato”, annota Palazzo dei Marescialli. Che rileva invece come, successivamente, Rossi abbia comunicato al Csm con una modalità diversa: prima via mail per chiedere il rinnovo dell’incarico allegando il decreto di nomina del Presidente del Consiglio (nel frattempo a Enrico Letta era subentrato Matteo Renzi). E poi, per il secondo rinnovo, inviando solo il decreto con la conferma della consulenza fino alla fine del 2015.

Ma come nasce il suo incarico a Palazzo Chigi? Grazie ad una “sollecitazione” ad un suo collega magistrato. E cioè Carlo Deodato approdato a Roma dopo aver lasciato il tribunale di Grosseto dove lo stesso Rossi era stato applicato in passato. “Quando Rossi seppe – si legge nella delibera di archiviazione proposta al plenum del Csm – che Deodato era direttore del Dipartimento affari giuridici (Dagl), decise di andarlo a trovare al fine di sollecitargli il conferimento dell’incarico di consulente, che poteva essergli utile per il curriculum da presentare in occasione delle domande per l’avanzamento di carriera“. Detto fatto:  assegnato un incarico di consulenza su schemi di riforma di vario argomento, dagli illeciti tributari al patrimonio culturale passando per il contrasto al lavoro nero fino al sistema sanzionatorio contro le condottee suscettibili di alterare le competizioni sportive.

Il magistrato  – scrive Palazzo dei Marescialli  -“avrebbe dovuto integrare già a novembre 2014 ma ancor più nell’ottobre 2015 la documentazione già inviata nel 2013 per mettere in grado il Csm di valutare meglio l’impatto dell’incarico extragiudiuziario (al Dagl di Palazzo Chigi, ndr) sui compiti d’ufficio” di Rossi che nel frattempo era stato promosso procuratore di Arezzo. “Si rammenti – si legge nella proposta di delibera – che, all’epoca erano già pervenute alcune relazioni della Banca d’Italia sulle vicende del consiglio di amministrazione di Banca Etruria anche con riguardo alla gestione iniziata con il rinnovo dei vertici nel maggio del 2014. Ebbene in quella gestione è coinvolto con il ruolo di vicepresidente il sig. Pierluigi Boschi e, nello stesso periodo, la figlia, Maria Elena Boschi è già una componente della compagine governativa“. Rossi inoltre “era l’unico titolare di un’indagine che potenzialmente avrebbe potuto coinvolgere un familiare di un importante esponente del governo”. Circostanza che “avrebbe potuto consigliare allo stesso procuratore di Arezzo scelte più articolate in ordine all’assegnazione dei fascicoli, unitamente alla rinuncia all’incarico extragiudiziario o almeno alla comunicazione al Csm circa la possibile inopportunità del medesimo. Invece dalle audizioni di Rossi emerge l’autoassegnazione dei fascioli che verranno coassegnati ad altri sostituti solo dopo alle prime due audizioni davanti al Consiglio superiore della magistratura”. Circostanza, anche quest’ultima, su cui il titolare dell’azione disciplinare dovrà ora fare le sue valutazioni.

 

 

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