Un gruppo di ragazze rumene si prostituiva all’interno di un appartamento del centro storico di Lecce. Secondo gli inquirenti il proprietario, Giuseppe Caracciolo, magistrato di 58 anni originario di Lecce, in servizio presso della Corte di Cassazione, non poteva non saperlo. Anzi, avrebbe affittato quell’immobile alle giovani donne perché si prostituissero e con il loro giro di affari potessero pagare un canone di locazione, da lui imposto, ben superiore a quelli di mercato.

Per questo il magistrato è ora indagato insieme alla compagna, una poliziotta di Brindisi in aspettativa, con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione. Anche se l’abitazione veniva pubblicizzata online come ‘bed and breakfast’ o ‘casa vacanze’, all’esterno non c’era alcuna insegna che potesse far pensare a un’attività ricettiva. Inoltre l’appartamento era situato accanto a quello che la coppia utilizzava quando si trovava a Lecce, a cui era collegato da una porta interna.

In realtà si trattava originariamente di un unico immobile, in seguito diviso in due. Il primo utilizzato direttamente da magistrato e compagna, il secondo ‘adibito’ a casa d’appuntamenti. Che ora è stata sottoposta a sequestro preventivo dal gip Vincenzo Brancato, come richiesto dal sostituto procuratore Maria Vallefuoco. Per il giudice esiste dunque “il concreto ed attuale pericolo che il permanere della libera disponibilità dell’immobile possa protrarre, e dunque aggravare, le conseguenze dei reati ipotizzati, trattandosi di attività in corso di piena esecuzione”.

IL BLITZ DELLA POLIZIA – La polizia ha scoperto il giro a luci rosse anche grazie alle lamentele dei residenti della zona di piazza Mazzini, che assistevano e più volte avevano segnalato un continuo via vai di clienti da quell’appartamento posto al primo piano. Uomini che arrivavano a tutte le ore del giorno e della notte e magari uscivano anche dopo poche decine di minuti. Dopo diversi appostamenti e testimonianze raccolte nel corso delle indagini, gli agenti di polizia si sono finti clienti e hanno suonato al campanello dell’appartamento. Ad accoglierli una ragazza vestita solo del reggiseno e di un tanga che li ha invitati a seguirla.

All’interno sono state identificate tre giovani rumene, una delle quali stava consumando una prestazione sessuale con un cliente. L’appartamento è composto da una zona soggiorno e da due camere da letto, all’interno delle quali gli agenti hanno trovato numerosi profilattici, confezioni di lubrificante intimo, salviette e rotoli di carta assorbente. La vera sorpresa, però, è stata un’altra: in un vano lavanderia comune alla casa in affitto e a quella utilizzata dal magistrato e dalla compagna, gli agenti della squadra mobile hanno identificato la collaboratrice domestica della coppia. Ma secondo le testimonianze raccolte la stessa coppia era solita accedere all’appartamento confinante per raggiungere la terrazza dove si stendevano i panni.

L’ACCUSA A CARICO DEL MAGISTRATO – Secondo gli investigatori il magistrato doveva per forza essere a conoscenza di quanto avveniva tra quelle mura. Di più: avrebbe affittato l’immobile a giovani rumene perché si prostituissero e si potessero permettere canoni di locazione alti rispetto a quelli di mercato, per i quali richiedeva l’immediato pagamento in contanti, senza rilasciare alcuna ricevuta. E quando una delle ragazze ha contattato il proprietario dopo aver trovato in rete il suo numero di telefono come titolare di un ‘bed and breakfast’ e si è lamentata del prezzo troppo alto, il magistrato le ha risposto che non avrebbe avuto problemi a pagare una tale cifra, sottintendendo che era perfettamente a conoscenza del giro di prostituzione che aveva come quartier generale proprio il suo appartamento.

Ogni ragazza pagava dai 300 ai 350 euro per una sola stanza, che spesso doveva però dividere (insieme al letto) con altre affittuarie completamente sconosciute, senza che vi fosse alcun rispetto delle normali procedure di locazione. D’altro canto Caracciolo non aveva comunicato all’autorità di pubblica sicurezza l’identità di chi alloggiava effettivamente in quell’appartamento. Il giorno prima del blitz, un episodio emblematico raccontato proprio dalle giovani rumene trovate nell’appartamento: il magistrato si era recato nell’abitazione per consegnare alle ragazze alcuni prodotti per l’igiene della casa e aveva annunciato loro l’arrivo nei giorni successivi di altre ragazze con cui avrebbero dovuto dividere l’immobile.

DAI PASSAGGI ALLE TELECAMERE – Non solo burocrazia, però. Secondo quanto raccontato dalle giovani rumene, in più occasioni le avrebbe condotte all’aeroporto, mentre sono stati i residenti della zona a riferire agli inquirenti di aver notato più volte il magistrato accompagnare nell’appartamento ragazze portando loro le valigie. E se le giovani non potevano esibire ricevute, erano però in possesso di una piantina di Lecce, sulla quale erano annotati tre numeri telefonici: quelli del magistrato, della compagna e della collaboratrice domestica. Mentre tutti i vicini si erano accorti dell’attività che da circa tre mesi veniva esercitata nell’appartamento posto al primo piano, il magistrato aveva pensato bene di far installare, senza l’autorizzazione dei condomini, una telecamera di vigilanza all’ingresso. Insolito per un appartamento affittato a turisti.

Aggiornamento
Per completezza dell’informazione, segnaliamo che la Corte d’Appello di Lecce, in data 18 dicembre 2020, ha annullato la sentenza di primo grado, che aveva condannato i due imputati, disponendo la restituzione degli atti al Pubblico Ministero, perché eserciti l’azione penale a carico del dott. Caracciolo e dell’altra imputata, per il diverso reato di favoreggiamento della prostituzione.

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