di Claudia De Martino* 

All’indomani degli attentati di Parigi, la Francia si è spaccata sulla questione dell’introduzione della lingua araba nei programmi scolastici nazionali. Il progetto di legge è ancora in discussione, ma il partito socialista – attualmente al governo – promuove la riforma, considerando tale gesto d’apertura della Repubblica nei confronti della più grande minoranza interna come necessario, e perfino tardivo. La Francia, infatti, ospita la più grande comunità musulmana d’Europa (tra i 4 e i 6 milioni di cittadini, pur in assenza di censimenti ufficiali sulla base della confessione religiosa) e quasi un decimo dei cittadini francesi proviene dall’ex “Maghreb francese”, ovvero Marocco, Algeria e Tunisia.

Di fronte ad un contesto sociale difficile, di emarginazione e disoccupazione, che riguarda soprattutto i giovani delle banlieues, e ad un grave problema di sicurezza interna, causato da giovani francesi immigrati di terza generazione alienati alla cultura repubblicana, il primo ministro Valls ha parlato del dovere di sconfiggere l'”apartheid” instauratosi all’interno della Francia. Da qui la proposta della Ministra dell’Istruzione superiore e della ricerca scientifica, Belkacem, di lanciare un progetto di insegnamento della lingua araba all’interno dei programmi nazionali dalle elementari da impartire nelle scuole pubbliche. L’arabo, nella visione della ministra, non sarebbe che una delle “lingue viventi” globali (o globalizzate), l’apprendimento delle quali andrebbe promosso nelle scuole francesi, troppo spesso incentrate sullo studio di materie classiche e poco attente allo sviluppo delle competenze richieste oggi dal mercato del lavoro.

Tuttavia, nonostante la ministra abbia enumerato anche il cinese e l’inglese tra le lingue viventi oggetto della riforma, è l’introduzione dell’arabo a infuocare il dibattitoPerché, dunque, insegnare l’arabo agli studenti francesi solleva un vero “polverone”? Introdotto nel 1977 come materia non curricolare da una direttiva europea che promuoveva l’apprendimento delle lingue d’origine agli immigrati in Europa (Elco) in vista del loro possibile rientro in patria, l’insegnamento dell’arabo è stato tradizionalmente affidato a cultori di lingua madre finanziati dai Paesi di origine, non sorvegliati dal ministero e privi di un titolo ufficiale rilasciato dalla Repubblica. Essendo l’offerta della scuola pubblica minima e limitata ad un’ora e mezzo a settimana, la maggior parte degli immigrati di seconda e terza generazione provenienti da paesi arabi ha dovuto rivolgersi a corsi privati o impartiti nelle moschee, spesso legati all’apprendimento congiunto del Corano.

L’intenzione della ministra sarebbe, dunque, duplice: introdurre l’arabo come materia nelle scuole pubbliche istituzionalizzandone l’insegnamento e ponendolo sotto il controllo del Ministero. Sebbene la lingua araba non rappresenti l’unica possibilità e la proposta riguardi solo alcune scuole, molti partiti e associazioni di cittadini si sono mostrati ostili all’iniziativa. In primis il Front Nazional, che l’ha definita un’eresia, così come il partito dei Repubblicani, secondo cui l’introduzione dell’arabo sarebbe un “cavallo di Troia”, e in Francia bisognerebbe prima di tutto apprendere la cultura francese. Altri partiti sono arrivati a chiedere le dimissioni della ministra “antipatriottica”. Anche la società civile sembra polarizzata. Di recente, centinaia di militanti del nuovo movimento giovanile europeo di estrema destra, Génération Identitaire, hanno marciato per le vie di Parigi contro “l’islamizzazione della Francia”.

Alle accuse levatesi contro la sua proposta, la ministra ha risposto sostenendo che l’arabo non è affatto una lingua comunitaria, ma la lingua ufficiale di 26 paesi al mondo e, dunque, un asset per il futuro collocamento degli studenti francesi nel mondo del lavoro, mentre nelle scuole francesi rappresenta lo 0,1% delle lingue straniere insegnate. Tutte le lingue avrebbero la stessa legittimità e dovrebbero suscitare in egual misura interesse, stimolando gli allievi ad una diversificazione linguistica che costituirebbe, per tutti gli studenti, un arricchimento del proprio bagaglio culturale.

All’indomani degli attentati di Parigi, lo scontro politico tra conservatori e progressisti ritorna sui banchi di scuola, nella forma di una battaglia ideologica tra chi teme la diffusione del comunitarismo anti-repubblicano e chi sprona l’introduzione del multiculturalismo, unica soluzione per favorire l’integrazione della più grande minoranza del paese. Si tratta di un dibattito che la Francia affronta per prima, spianando la strada agli altri paesi d’Europa, che a breve si troveranno di fronte alle stesse scelte su come implementare strategie di integrazione di minoranze culturali e religiose sempre più consistenti e destinate a reclamare uno spazio più importante nelle politiche pubbliche del Vecchio Continente.

*Ricercatrice Unimed

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