“La mia vicenda potrebbe essere un po’ lo specchio del Paese: preferiamo rimanere nel nostro piccolo porto sicuro, senza metterci in gioco e senza capire che questo ci porta all’immobilità. E non ci accorgiamo di essere già impantanati”. Pietro Amodio, è un ingegnere aeronautico di 42 anni. In Italia, poco dopo la laurea a Napoli, sua città natale, viene subito chiamato a lavorare per una delle più grandi aziende sul territorio italiano del settore: “Ero entusiasta, per me era un vero sogno, avevo 27 anni e tanta voglia di fare”. Ma per infrangerlo, bastano pochi giorni. Quello con cui si scontra, infatti, è un sistema dove a prevalere sono “scarsa efficienza, un sistema poco meritocratico, poco produttivo e senza stimoli – racconta Pietro -. I primi 10 giorni sono stato ‘parcheggiato’ alla scrivania, e alla fine era diventato un lavoro di routine, noiosissimo, senza nessun avanzamento”.

Esasperato da questa situazione, decide di aderire a un progetto all’estero della sua azienda. Destinazione: Russia. “Questa meta era poco inflazionata, il progetto interessante, ma nessuno voleva venire qui. Fu davvero difficile per le risorse umane trovare qualcuno disposto a partire; e anche questo la dice lunga: dimostra come l’unica cosa che si cerca è un posto sicuro, non nuovi stimoli”. I successivi sette anni in Russia, tra alti e bassi, diventano invece per Pietro un nuovo punto di partenza: “All’inizio il progetto era interessante, peccato che un anno dopo si sia bloccato. Siccome non ero figlio di nessuno, non ero ricco e il pacchetto economico era buono, però, ho resistito anni. Nel frattempo ho investito in formazione: mi sono iscritto a un master internazionale in business e sono riuscito a cambiare competenze, dall’ingegneria mi sono spostato alla gestione fornitori”.

Nel 2013 arriva il momento di tornare a casa. E l’aereo diventa una macchina del tempo, riportandolo a quella sensazione di immobilità che aveva scandito gli anni precedenti: “Tornavo con un notevole bagaglio di conoscenze, ma il lavoro che mi aspettava era lo stesso di tanti anni prima, di quando ero appena entrato in azienda. Tutto era rimasto fermo: dovevi andare lì a elemosinare qualche lavoro”.

Una sorta di sabbie mobili in cui Pietro non vuole rimanere immerso: “Non sono un arrivista, volevo, però, almeno avere il modo di lavorare dove credevo di poter essere utile. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la frase di un collega che mi ha detto ‘tu hai studiato tanto e ora siamo allo stesso livello’”. Troppo da sopportare, così Pietro si mette in gioco un’altra volta: “Ho resistito un mese e mi sono messo a cercare un altro lavoro, all’estero”. E nel Regno Unito trova l’opportunità che stava cercando: “Si trattava di un lavoro da project management a Chester, nel nord dell’Inghilterra. Chi mi ha fatto i colloqui era molto interessato a capire che tipo di persona fossi, ha puntato su di me e mi ha dato credito. Proprio ciò a cui miravo”. Così, dopo aver consultato la famiglia, Pietro fa di nuovo le valigie. “Mi sono licenziato tra l’incredulità di amici e parenti: stavo lasciando un posto fisso, sicuro, per l’incertezza”.

Considerato quasi un ‘pazzo’ a casa, la sua intraprendenza si rivela una fortuna e Pietro ritrova interesse per il proprio lavoro: “Qui tutti vogliono vedere come lavori, ti danno un sacco di responsabilità e se te le sai prendere, ti prendi anche i meriti. Questo è quello che volevo: un luogo dove conosci quali siano gli obiettivi e hai una valutazione annuale. Se lavori bene hai avanzamenti di carriera, altrimenti, se non sei bravo, vieni licenziato”.

Il nuovo modello lavorativo entusiasma Pietro, al punto da volerlo esportare in Italia. “In due anni e mezzo ho fatto un’esperienza lavorativa che in Italia non sarei mai riuscito a fare, mi sento molto più forte dal punto di vista professionale. Ho acquisito un modo di lavorare che sarebbe utilissimo. Non so come sarebbe accolto in Italia, ma io qui sono molto soddisfatto. Ho provato anche a convincere dei colleghi a raggiungermi, ma nessuno ha accettato”. Quando guarda indietro, Pietro sorride: “Se fossi rimasto, probabilmente sarei impazzito. Se potessi ricominciare da capo, infatti, sceglierei subito di andare via. E ora, dopo tre anni, anche i miei parenti, per i quali la mia partenza era incomprensibile, hanno capito perché”.

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