Famiglie senza lavoro in aumento, una spesa sociale inefficiente, una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Questo è il quadro fornito dall’ultimo rapporto annuale dell’Istat, relativo al 2015. La fotografia scattata dall’istituto mostra che 6 giovani su 10 vivono ancora con i genitori, mentre uno su quattro non studia e non lavora. Il tutto in un contesto economico debole, con i prezzi che ristagnano o calano e un mercato del lavoro incerto: nel 2025, l’istituto prevede che l’occupazione rimanga ferma a un livello simile al 2010.

Oltre 2 milioni di famiglie senza lavoro. Un minore su 5 in condizione di povertà – In Italia 2,2 milioni di famiglie vivono senza redditi da lavoro. Le famiglie “jobless” sono passate dal 9,4% del 2004 al 14,2% dell’anno scorso e nel Mezzogiorno raggiungono il 24,5%, quasi un nucleo su quattro. La quota scende all’8,2% al Nord e al 11,5% al Centro. L’incremento ha riguardato le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l’incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%.

I minori sono i soggetti che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi in termini di povertà e deprivazione, scontando un peggioramento della loro condizione relativa anche rispetto alle generazioni più anziane. L’incidenza di povertà relativa per i minori, che tra il 1997 e il 2011 aveva oscillato su valori attorno all’11-12%, ha raggiunto il 19% nel 2014. Al contrario, tra gli anziani – che nel 1997 presentavano un’incidenza di povertà di oltre 5 punti percentuali superiore a quella dei minori – si è osservato un progressivo miglioramento che è proseguito fino al 2014 quando l’incidenza tra gli anziani è di 10 punti percentuali inferiore a quella dei più giovani.

La spesa sociale è inefficiente, peggio di noi solo la Grecia. E aumenta la disuguaglianza – Il sistema di protezione sociale italiano è tra quelli europei “uno dei meno efficaci“. Lo rileva il Rapporto annuale Istat 2016, evidenziando come “la spesa pensionistica comprime il resto dei trasferimenti sociali”, aumentando il rischio povertà. Nel 2014 il tasso delle persone a rischio si riduceva dopo il trasferimenti di 5,3 punti (dal 24,7% al 19,4%) a fronte di una riduzione media nell’Ue di 8,9 punti. Solo in Grecia il sistema di aiuti è meno efficiente che in Italia.

In Italia, sottolinea l’Istat, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito (misurata attraverso l’indice di Gini sui redditi individuali lordi da lavoro) è aumentata da 0,40 a 0,51 tra il 1990 e il 2010; si tratta dell’incremento più alto tra i paesi per i quali sono disponibili i dati.

Sei giovani su 10 a casa dai genitori. Il 25% non studia e non lavora – La generazione dei bamboccioni non molla: nel 2014 più di 6 giovani su 10 (62,5%) tra i 18 e i 34 anni hanno vissuto ancora a casa con i genitori. Il dato ha riguardato nel 68% dei casi i ragazzi e nel 57% le ragazze. Nel contesto europeo l’Italia si schiera quindi in pieno con le medie dei paesi mediterranei (“dove i legami sono ‘fortì”), a fronte di una media Ue del 48,1%.

Sono più di 2,3 milioni nel 2015 i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione (Neet), di cui tre su quattro vorrebbero lavorare. I Neet sono aumentati di oltre mezzo milione sul 2008 ma diminuiscono di 64mila unità nell’ultimo anno (-2,7%). L’incidenza dei Neet sui giovani di 15-29 anni è al 25,7% (+6,4 punti percentuali su 2008 e -0,6 punti su 2014).

Dopo la laurea i giovani non cercano lavoro, ma continuano a studiare – Rispetto a una ventina di anni fa sono quasi raddoppiati i giovani che a tre anni dalla laurea non cercano lavoro, la maggior parte perché ha deciso di continuare a studiare. A tre anni dal conseguimento del titolo, nel 1991 i laureati occupati erano il 77,1%. Questo valore è sceso al 72% nel 2015, anno nel quale non cercano lavoro circa il 12,5% dei giovani laureati, quasi il doppio di quelli del 1991 (6,6%). Quest’ultimo dato va letto – spiegano i ricercatori – assieme al fenomeno della prosecuzione delle attività di formazione: nel 2015, infatti, il 78,7% di coloro che dichiarano di non cercare lavoro risultano impegnati in dottorati, master, stage o ulteriori corsi di laurea, quando nel 1991 la stessa quota era pari a 59,7%.

Mercato del lavoro incerto: nel 2025 la stessa occupazione del 2010 – Nel 2016 l’andamento dei prezzi “appare ancora molto debole” e quello del mercato del lavoro “è incerto“. Lo afferma l’Istat nell’ultimo rapporto annuale, ritenendo “plausibile”, per il primo semestre, il succedersi di periodi di debole crescita tendenziale dei prezzi e di episodi deflazionistici. La ripresa dei consumi risulta infatti insufficiente a bilanciare il calo dei prezzi energetici. Allo stesso tempo, il mercato del lavoro nei primi tre mesi 2016 mostra una sostanziale stabilità degli occupati. L’Istat prevede inoltre, in un esercizio statistico, “un miglioramento piuttosto modesto del grado di utilizzo dell’offerta di lavoro” nei prossimi anni. Nel 2025 il tasso di occupazione potrebbe così restare “prossimo a quello del 2010, a meno che non intervengano politiche di sostegno alla domanda di beni e servizi e un ampliamento della base produttiva”.

Aumentano gli occupati, ma dal 2008 scende l’incidenza del lavoro stabile. Nel 2015 gli occupati in Italia sono 22,5 milioni, 186mila in più sull’anno (+0,8%). L’anno scorso il contratto a tempo indeterminato è stato il più diffuso: vi hanno fatto ricorso quasi due terzi delle aziende manifatturiere e del terziario. Nonostante l’aumento dei contratti fissi, l’incidenza del lavoro standard sul totale degli occupati è scesa al 73,4% nel 2015 dal 77% del 2008 con 1,3 milioni di occupati in meno. A trainare le assunzioni, in particolare nelle imprese manifatturiere, sono stati in primis gli sgravi contributivi.

La popolazione italiana diminuisce e invecchia. Nel 2015 minimo storico per le nascite – Al 1 gennaio 2016 la stima della popolazione italiana è di 60,7 milioni di residenti (-139mila sull’anno precedente) mentre gli over 64 sono 161,1 ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Il nostro Paese è tra i più invecchiati al mondo, insieme a Giappone e Germania. Nel desolante quadro demografico si inserisce il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia per le nascite: nel 2015 sono state 488mila, 15mila in meno rispetto al 2014. Per il quinto anno consecutivo diminuisce la fecondità, solo 1,35 i figli per donna.

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