Era il 2 aprile 2009. Pochi mesi prima il Csm, presieduto da Giorgio Napolitano, aveva costretto Luigi de Magistris ad abbandonare la toga. Era l’atto finale – così venne detto dal 90% dei media – della sedicente “guerra tra le procure di Salerno e Catanzaro”. In quell’aprile 2009 si avvicinavano le elezioni europee e il magistrato partenopeo si apprestava a candidarsi – come indipendente – nella lista dell’Italia dei Valori. Quel giorno a Bologna la sala del Baraccano era stracolma di cittadini venuti ad ascoltare gli ospiti di un dibattito – organizzato da tempo – intitolato “Questione morale, questione italiana”. Ospite principale proprio Luigi de Magistris, chiamato a confrontarsi pubblicamente con i giornalisti indipendenti Tana de ZuluetaAntonella Beccaria e Andrea Cinquegrani (direttore del settimanale La Voce delle voci) e con il magistrato Norberto Lenzi. Mio padre. Anch’egli collaboratore occasionale dell’allora neonato Fatto Quotidiano e del periodico on line Domani.arcoiris.tv. Propongo di riflettere, oggi, sulle parole che Norberto pronunciò in quella occasione.

de magistris 675

La candidatura di De Magistris ha scatenato la solita polemica sulla opportunità del passaggio dei magistrati in politica. Non ho convinzioni radicate sul punto. E’ chiaro che in astratto non vi possono essere pregiudiziali. Siamo l’unica categoria per la quale si pone il problema. Perché gli avvocati di Berlusconi sì e noi no? Perché i pregiudicati sì e noi no? Perché Mastella era meglio di D’Ambrosio come ministro della Giustizia? L’ambiente è quello che è. Uno dei pochissimi politici, forse l’unico, per il quale avrei messo la mano sul fuoco è l’attuale sindaco di Bologna [Cofferati, nda]. Fortunatamente nessuno me lo ha chiesto, così posso continuare a scrivere e a portare la spesa…

Nel caso di De Magistris abbiamo sentito varie opinioni, per lo più negative. Io non conosco De Magistris ma credo che il modo determinato con il quale ha condotto indagini così delicate e pericolose mostri il volto di un uomo che credeva profondamente nel suo lavoro, che non lo avrebbe mai abbandonato se non fosse stato ferito e umiliato, lasciato solo perfino dai colleghi che avrebbero dovuto essergli più vicini. Parlo di quelli di Magistratura Democratica. Cosa impensabile fino a pochi anni fa. Per il caso De Magistris noi magistrati non abbiamo neppure meritato la rituale accusa di corporativismo. Si vede che per il potere politico questa volta siamo stati perfetti. Abbiamo perfino lasciato circolare nel nostro silenzio quella ignobile versione della guerra per bande che un giorno andrà iscritta nella colonna infame dei rapporti tra politica e magistratura. Il controsequestro degli atti da parte dei magistrati di Catanzaro è una mostruosità giuridica, come sa chiunque si occupi di diritto penale.

Io mi preoccupo quando sento espressioni come abbassare i toni o riforme condivise” perché hanno condotto alla scomparsa della opposizione. Ci sono riforme che certamente vanno condivise e altre per cui la condivisione è un pericolo per la democrazia. Vi ricordate le aspre polemiche sul “resistere, resistere, resistere” di Borrelli e le sconcertanti prese di distanza degli esponenti politici del centro-sinistra? Quel grido allora poteva ancora fare paura. Oggi invece ha la stessa risonanza delle urla dei pazzi rinchiusi nelle stanze ovattate dei manicomi. Come questo sia potuto accadere lo si evince chiaramente dal libro della Beccaria [Il programma di Licio Gelli, presentato nel corso del dibattito, nda]. E’ il filo ininterrotto di un’unica trama (della quale Gelli ha in modo semiserio rivendicato la primogenitura) tessuta prima da Craxi e Pannella e poi dagli epigoni Berlusconi e Capezzone.

Ve lo ricordate il referendum sulla responsabilità dei giudici? Era praticamente formulato sul quesito “un giudice che sbaglia deve pagare o no?”. Cosa si può rispondere? Anche il quesito “un politico che ruba può essere rieletto o no?” avrebbe la stessa risposta. Almeno lo spero. E tutto il seguito di quelle che una volta chiamavamo leggi-vergogna, fino alle assurdità odierne: la castrazione delle intercettazioni, la separazione delle carriere, ecc. Ora io lo so benissimo che siamo rimasti in 5 o in 6 in Italia a riproporre la questione del conflitto di interessi. Verrà un giorno in cui chiameranno la neurodeliri per portarci via. Vorrei un sussulto di dignità della magistratura. Una volta non eravamo così. La intransigenza non è radicalismo fanatico, ma strategia di coerenza quando sono in gioco il patto costituzionale, i fondamenti del vivere civile. Sulla separazione dei poteri, sul conflitto di interessi, sulla laicità dello Stato, sulle leggi ad personam non si può cercare il compromesso. Interrompere il dialogo fa parte della dialettica democratica. Se si ridimensionano i poteri dei giudici i deboli diventeranno debolissimi e i potenti sempre più forti. Per evitare gli abusi – diceva Montesquieu – occorre che il potere fermi il potere. E, aggiungo più modestamente io, se si richiede il rispetto delle istituzioni anche le istituzioni debbono rispettare i cittadini.

di Norberto Lenzi

GIUSTIZIALISTI

di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita 12€ Acquista
Articolo Precedente

Prescrizione, nel 2014 tagliati 132mila procedimenti, quasi uno su dieci. Ministero: “Colpa della legge ex Cirielli”

next
Articolo Successivo

Di giustizia come pop-art e intercettazioni come poster

next