“Vedendo le immagini dei bambini martoriati volevo andare in Siria ad aiutare e non arruolarmi nell’esercito dell’Isis“, ha detto agli inquirenti Abderrahim Moutaharrik, il kickboxer ventottenne di origini marocchine fra gli arrestati della scorsa settimana per sospetti legami con l’Isis. È stato interrogato questa mattina dal giudice per le indagini preliminari Manuela Cannavale. Come riferito dal suo legale, Moutahrrik si è difeso, assieme alla moglie Salma Bencharki, anche lei in carcere, spiegando che non avrebbe organizzato un attentato in Italia, dove vive da 16 anni.

Sentiti negli interrogatori di garanzia, nel carcere di San Vittore, anche gli altri arrestati a seguito del blitz antiterrorismo che ha fatto emergere progetti di attentati a Roma da parte di presunti miliziani dell’Isis: Abderrahmane Khachia (anche lui difeso d’ufficio dall’avvocato Pesce), marocchino di Varese e fratello di Oussama, foreign fighter morto in Siria; e Wafa Koraichi, sorella di Mohamed partito l’anno scorso per la Siria con la moglie Alice Brignoli e i tre figli per andare a combattere, al confine fra Iraq e Siria, a fianco del sedicente Stato Islamico.

Fra le intercettazioni che hanno portato agli arresti della settimana scorsa si sente Moutaharrik comunicare a un altro degli arrestati di voler “picchiare (inteso come colpire e far esplodere, ndr) Israele a Roma”. Fra le conversazioni ascoltate, in particolare, il pugile fa riferimento a un suo disegno per compiere un attentato all’ambasciata di Israele. “Quello che sta per accadere sarà peggio di Parigi ed è solo l’inizio. Non hanno ancora visto niente”, minacciava il kickboxer.

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