Dopo aver fatto entrare nel panico celebrità e politici di tutto il mondo, portato alle dimissioni un primo ministro – quello islandese, Sigmundur David Gunnlaugsson – e dopo aver fatto andare su tutte le furie Vladimir Putin, i Panama Papers nel Regno Unito hanno avuto un altro significativo risultato: l’aver portato il premier David Cameron ad ammettere di aver beneficiato dei proventi dell’azienda finanziaria posseduta da suo padre Ian Cameron, morto nel 2010, pur avendo venduto la quota in suo possesso quattro mesi prima di diventare primo ministro.

Ma il risultato, ora a posteriori, è anche un altro. Nel panorama politico britannico, dove da sempre si accusano maggioranza e opposizione di essere ‘una stessa cosa’, per la prima volta da quando è stato eletto, lo scorso 12 settembre, il leader laburista Jeremy Corbyn è riuscito a far fare qualcosa di concreto al capo del governo: e così ora Cameron, come chiesto dal parlamentare 66enne di Islington, pacifista e terzomondista, ha promesso che in futuro farà molta più attenzione alle sue dichiarazioni dei redditi, dopo aver comunque sottolineato di aver sempre comunicato al fisco ogni profitto ricevuto da quella quota.

Quanto detto oggi da Cameron è quindi, senza ombra di dubbio, un passo indietro. La prima reazione ufficiale, dopo il coinvolgimento della figura di suo padre, era arrivata da parte della portavoce di Downing Street, la residenza del primo ministro, che aveva definito la questione “un affare privato”. Poi, dopo 24 ore, sempre Downing Street aveva negato benefici “futuri” per Cameron, non spiegando tuttavia se lo stesso ne avesse avuto in passato. Un gioco di parole che non era sfuggito ai media britannici, che nella giornata di giovedì 7 aprile sono tornati all’attacco. Primo fra tutti, il Guardian, che ha inoltrato le fatidiche “dieci domande a Cameron”, chiedendo al premier di fare chiarezza il prima possibile su un fatto che, pur non rappresentando nulla di illegale, e l’elusione fiscale nel Regno Unito non lo è, rappresenta comunque una macchia innegabile nell’immagine del governo di sua maestà la regina Elisabetta II.

Cameron, nella serata di giovedì, così, ha sottolineato: quella quota è stata venduta quattro mesi prima delle elezioni politiche che lo hanno portato al governo la prima volta, quindi presumibilmente nello stesso 2010, anno della morte del padre. E il ricavato di quella vendita, che il Guardian quantifica in circa 19mila sterline (meno di 25mila euro al cambio attuale) è stato incluso nella dichiarazione dei redditi e in precedenza anche i dividendi erano stati resi noti. Qualcosa che, per chi conosce gli affari britannici, non è veramente nulla di nuovo, visto che già nel 2012 e nel 2014 la stampa britannica aveva rivelato i legami fra il padre del premier e alcuni conti in paradisi fiscali. Ma ora, con il caso scoppiato in tutto il mondo e su tutte le prime pagine dei giornali, a quei conti correnti e a quelle partecipazioni si dà un ben altro significato. Che è soprattutto un danno alla figura di un premier che più volte ha condannato a parole l’elusione fiscale e le aziende – spesso multinazionali – che anche nel Regno Unito la praticano.

Per ironia della sorte, la Blairmore Holdings Inc, che gestiva il fondo di investimento con base alle Bahamas, prendeva il nome proprio dalla tenuta degli antenati di Cameron nell’Aberdeenshire, in Scozia. Diverse ricche famiglie la utilizzavano, un’azienda fondata nel 1980 e che, secondo la stampa britannica, sarebbe attiva tuttora, anche se non si sa bene con quale operatività. Parlando con una televisione privata, dopo la rivelazione Cameron tuttavia ha detto: “Voglio essere il più chiaro possibile sul passato, sul presente, sul futuro, anche perché, francamente, non ho nulla da nascondere. Sono orgoglioso di mio padre, di quello che ha fatto e dell’azienda che ha avviato. Non posso sopportare di vedere il suo nome trascinato nel fango”. Nella giornata di mercoledì 6 aprile, l’agenzia di scommesse Paddy Power, una delle principali del Regno Unito, ha anche iniziato a far puntare i suoi clienti su chi possa essere il prossimo leader mondiale a dimettersi dopo quello islandese. Dopo il presidente argentino Mauricio Macri, quello pachistano, Nawaz Sharif, e quello ucraino, Petro Poroshenko, David Cameron è quarto in classifica.

Poche ore dopo l’ammissione, del resto, è arrivata la prima richiesta di dimissioni. Lo ha fatto tramite Twitter John Mann, membro della commissione Tesoro alla Camera dei Comuni, che ha definito “ipocrita” il premier. “Ha avuto sei anni di tempo per essere onesto col Parlamento e i cittadini”, ha scritto il deputato sul suo profilo.

Financial Times: “Cameron frenò Ue su norme anti evasione” – Un’altra rivelazione, stavolta del Financial Times, imbarazza il capo del governo inglese: secondo il giornale, il primo ministro conservatore britannico intervenne personalmente tre anni fa in sede Ue per limitare l’impatto di norme anti-riciclaggio e anti-elusione. La vicenda risale al 2013 ed è testimoniata da una lettera – che il FT scrive di aver potuto ora vedere – nella quale Cameron si rivolse all’allora presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, per invocare un alleggerimento della direttiva che mirava a sollevare il velo di riservatezza sui beneficiari di trust e fondi offshore. Alleggerimento destinato secondo il giornale a creare di fatto “possibili scappatoie“, utilizzabili a parere di altri governi europei anche dagli evasori.

Il FT nota che sebbene Cameron si sia sempre presentato come un campione della trasparenza sul fronte delle tasse, nella lettera a Von Rompuy chiese apertamente un trattamento di favore su una norma pensata a Bruxelles per contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro, argomentando che un certo tipo di trust era usato largamente in Gran Bretagna per questioni ereditarie e non andava penalizzato oltre misura.

“E’ importante – scriveva Cameron all’epoca – riconoscere una differenza fra aziende e trust. Ciò significa che una soluzione disegnata per colpire potenziali abusi relativi alle aziende, come i registri pubblici centrali, possa non essere appropriata a livello generale”. Parole scottanti, se lette ora alla luce del sospetto che lo stesso Cameron abbia potuto magari ereditare quanto depositato nella società offshore creata a suo tempo dal padre.

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