Dopo 5 anni dalla sua uscita nel resto del mondo, arriva finalmente anche in Italia, con un tempismo inappuntabile, Weekend di Andrew Haigh. Un plauso va sicuramente alla Teodora che ha avuto il coraggio di osare e di credere in un progetto del genere, anche se parlare della distribuzione italiana in questo momento significherebbe sprecare litri d’inchiostro e probabilmente fare un totale buco nell’acqua; potrà essere magari un argomento interessante da trattare con un po’ di attenzione in un approfondimento futuro.

Ora trovo sia giusto attribuire il meritato spazio a questo giovane emergente che di volta in volta sta dimostrando davvero un grande valore e una sensibilità non comune.

Haigh, britannico classe ’73, dopo un inizio come sceneggiatore, esordisce alla regia con Greek Pete, un dramma umano (mai arrivato in Italia) dal taglio quasi documentaristico che anche nelle sue sbavature è in grado di porre uno sguardo autentico e intimo nel mondo e nella vita di un ragazzo costretto a prostituirsi. Una regia esplicita e forse ancora un po’ acerba, ma mai giudicante e soprattutto capace di creare un interessante ritratto di una subcultura sconosciuta a molti.

Un grande potenziale ancora un po’ grezzo e da affinare che esploderà completamente solo due anni più tardi proprio con il bellissimo Weekend.

Si tratta di un film in cui l’incontro tra due uomini, due realtà sconosciute, può diventare qualcosa di molto più profondo ed intenso di un semplice rapporto occasionale. Haight è bravissimo nel calibrare le sfumature dei suoi protagonisti e l’evoluzione del loro intrecciarsi. Misura con una cura magnifica ogni piccolo silenzio che accompagna anche i gesti più impulsivi e imbarazzati, non spinge mai sul pedale del sentimentalismo e dell’enfasi forzata riuscendo a farci entrare nel modo più naturale e sensuale possibile all’interno di amore fulmineo che trova nel distacco e nell’assenza un dolore intenso e genuino. Un piccolo grande film dal sapore agrodolce, espressione di un tocco delicato ma allo stesso tempo deciso e personale, che verrà consacrato in maniera ancora più preziosa ed importante con l’ultimo meraviglioso 45 anni (fortunatamente già distribuito anche nelle nostre sale).

Questa è una piccola perla cinematografica che riesce a dare forma ai ricordi, a rendere palpabile attraverso l’immagine persino il fantasma di un passato che torna prepotentemente in vita. È commovente vedere l’intimità, il rispetto, la dignità e l’amore con cui viene accarezzata questa meravigliosa coppia giunta al quarantacinquesimo anniversario; sono due personaggi tratteggiati in maniera splendida ed ogni piccolo frammento del loro rapporto e del loro essere diventa un regalo per i nostri occhi e per il nostro cuore. Gli sguardi, i modi, i movimenti, i silenzi, le parole, persino i momenti di intimità sessuale diventano così vivi, umani e tremendamente veri da conquistarci completamente.

Haigh ci guida insieme alle sue creature nel tentativo di ritrovare la chiave della felicità smarrita tra i ghiacci, animando il desiderio di tornare a vivere la solidità di quel microcosmo d’amore quotidiano fatto di natura e semplicità. Gli iniziali campi lunghi descrittivi lasceranno spazio ai primi piani vivi di Courtenay ma soprattutto della Rampling che riesce ad esprimere un oceano sconfinato di emozioni anche solo attraverso i suoi occhi densi di vita, quegli occhi capaci di legarci a lei tramite un invisibile filo di empatia ed umanità.

Ora che c’è la possibilità concreta di continuare a scoprire un giovane talento, non lasciamo che Weekend sfumi sotto i colpi roboanti delle solite produzioni imponenti, perché il cinema ha anche il potere di rendere grandiosa la sottigliezza di un’esperienza intima e personale e magari una volta tanto può essere piacevole lasciarsi cullare dalla meraviglia di questi piccoli e rari tesori nascosti.

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