Negli ultimi 12 mesi lo Stato Islamico ha inviato i suoi agenti in Libia con lo scopo di facilitare la creazione di un gruppo armato a sua immagine e somiglianza, un esercito in grado di combattere per replicare il califfato siriano. Fino ad ora il piano ha funzionato. Non solo la versione libica dello Stato Islamico ha guadagnato terreno ma gli accordi per ristabilire un governo unico sono falliti e l’Occidente sta meditando un nuovo intervento armato.

La decisione di investire in Libia e, ad esempio, non in Yemen è legata ad una strategia di lungo periodo ben chiara che vede nel continente africano il terreno più fertile per il franchising del califfato nel XXI secolo. Alcuni elementi chiave sembrano avallare questa previsioni, primi fra tutti la sostenuta crescita demografica, l’instabilità politica dei governi post-coloniali africani e la scarsa crescita economica prodotta da questi stessi negli ultimi 50 anni. Sullo sfondo di questo scenario, l’Islam viene presentato come l’ideologia del cambiamento, lo stesso mantra che ha avuto grande successo in Iraq ed in Siria.

La facilità con la quale l’Islam rivoluzionario proselitizzato dallo Stato Islamico sta attecchendo in un continente dove è sempre stata molto diffusa la sua interpretazione più mistica e pacifica, e cioè il sufismo, non è casuale ma è il prodotto dell’indottrinamento promosso dall’Arabia Saudita negli ultimi 30 anni non solo in Africa ma in tutto il mondo musulmano. Nel Niger, ad esempio, una nazione decisamente ancora laica il numero delle moschee è salito vertiginosamente. Approfittando della povertà di alcune nazioni, i sauditi hanno de facto penetrato la società africana indottrinandola alla versione aggressiva, militante e violenta dell’Islam costruendo una rete capillare di moschee che fungono da centri sociali e di sostentamento per la popolazione.

Man mano che i nuovi e deboli Stati post-coloniali fallivano nei loro programmi economici e la popolazione si trovava senza lavoro, istruzione e servizi base, la legittimità dei governi scemava. I cittadini frustrati cercavano un’alternativa che gli veniva offerta dai predicatori sunniti finanziati dai ricchi sauditi o dai regimi dei paesi del golfo. La frustrazione si è presto trasformata in rivolte sempre più violente finché ha dato vita a gruppi armati che di fatto muovono guerra ai regimi esistenti. Tra questi il più noto è Boko Haram in Nigeria, una nazione ricca grazie ai giacimenti di petrolio ma profondamente corrotta.

Nigeria Violence

Nell’ultimo decennio, Boko Haram ha devastato gran parte della Nigeria, del Camerun, del Ciad e del Niger. Ha lanciato attacchi che a volte hanno coinvolto fino a un migliaio di militanti. Circa 17.000 persone sono morte in una guerra che sembra non aver fine e che ha già prodotto 2,6 milioni di rifugiati. Ultimamente, Boko Haram ha dichiarato sudditanza allo Stato Islamico, ed è diventato un vassallo del califfato. Questa decisione è coincisa con una nuova violenta e barbara offensiva in Nigeria, la cui tattica più comune è l’invio di bombe suicide, spesso anche bambini, contro le moschee sufiste. Il messaggio è chiaro: l’islam dello Stato Islamico è un’arma di battaglia fenomenale, una macchina da guerra e per creare la nuova nazione musulmana ci vuole questo tipo di attrezzatura non il buonismo e l’ascetismo dell’islam sufista.

L’Africa è dunque il terreno dove lo scontro tra le varie interpretazione dell’Islam si svolge su larga scala. Ed infatti negli ultimi mesi abbiamo assistito a diversi attacchi non solo contro gli occidentali ma contro gli africani. In Burkina Faso, poco meno di un mese fa, 30 persone sono state uccise in un hotel di lusso, mesi prima abbiamo assistito ad un attacco simile in Mali, in Somalia, al Shabab ha attaccato la base militare dell’unione Africana uccidendo 100 soldati kenioti.

Se poi aggiungiamo che nelle regioni sub Sahariane vivono 250 milioni di musulmani e che le proiezioni sono per una crescita demografica del 60 per cento nei prossimi 30 anni, è facile intuire il potenziale insurrezionale che l’Africa offre all’Islam del cambiamento, violento e rivoluzionario, specialmente alla luce del ruolo che l’Occidente continua a svolgere in questo continente.

Nell’Africa occidentale, ad esempio, le potenze europee con in testa la Francia hanno lanciato diverse incursioni militari a sostegno dei governi locali. In Mali, Niger, Mauritania, Burkina Faso e Chad la Francia mantiene un contingente di 3.500 soldati. Gli americani hanno una base di droni in Niger e ne stanno costruendo un’altra nel Camerun. In Libia, poi, non è da escludere a breve un intervento armato da parte degli italiani ed appoggiato dalla Casa Bianca.

La risposta armata e violenta da parte dell’Occidente nei confronti dell’avanzata dell’Islam del Califfato fa buon gioco ai gruppi armati che si sono dichiarati suoi vassalli. Esattamente ciò che abbiamo visto svilupparsi in Siria con l’appoggio militare dell’Iran e della Russia al regime di Assad e quello dei paesi del golfo e dell’Occidente all’insurrezione anti Assad. Tra questi due schieramenti si è incuneato lo Stato Islamico, presentandosi come l’unica versione endogena del cambiamento politico. Se ciò si ripetesse in Africa le conseguenze per l’Europa sarebbero, a dir poco, disastrose.

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