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Anna ha 35 anni, un figlio di cinque, marito non pervenuto da quando Luca aveva un anno. Adesso vive con Gianni, prima una lunga frequentazione, “perché con un figlio a casa non si scherza sui sentimenti”, poi la convivenza quando ha capito che con Gianni poteva funzionare. Gianni la accompagna alle riunioni con le maestre, la aiuterà con la scelta della scuola elementare “sta addirittura nel gruppo whatsapp della classe”, mi scrive ironicamente “e resta spesso a casa quando Luca sta male”. Luca dice di avere due papà, anche se il vero padre non lo vede quasi mai, da quando ha deciso di tagliare davvero i ponti trasferendosi altrove.

Pietro e Marina hanno 45 e 44 anni, gli ultimi dieci della loro vita passati a cercare un figlio che non arrivava mai. Oggi sono genitori adottivi di Swati, sei anni dall’India e presto arriverà un fratello, da Frosinone. “Uno strano connubio – mi dicono – ma il bello sarà proprio conoscersi”.

Anche Francesca e Marco hanno provato a lungo a diventare genitori. Dopo vari tentativi falliti, per loro si è aperta la strada dell’adozione internazionale e Joy è arrivato dal Kenya. Dopo sette anni, Francesca e Marco hanno concepito Chiara, “che si chiama così perché è bionda che di più non si può. “Joy e Chiara sono fratello e sorella e non saranno i tratti somatici a dirci il contrario”.

Carmela e Beatrice sono sole. La prima ha 38 anni, la seconda uno. Carmela vive a Londra per lavoro ormai da diverso tempo ed è stato lì che, con il seme di un donatore esterno, è diventata mamma. Nel suo paese di origine, in Basilicata, lo sanno tutti e quando torna a casa l’accoglienza è grande. “Il problema l’avrei creato io non dicendolo – mi scrive – I pregiudizi si alimentano tenendo nascosto qualcosa per cui non c’è nulla da sottintendere e si scardinano con la naturalezza”. Per tutti, al paese, è infatti naturale che la famiglia di Beatrice sia la mamma Carmela “da quando ci hanno visto insieme la prima volta, il problema non se lo sono più posto, al massimo sono un po’ curiosi sulle procedure per la scelta del donatore!”. Mi auguro di trovare in futuro un uomo che ami me e mia figlia, per lei sarà un valore aggiunto, non stiamo qui a negarlo, ma se l’amore non ha età, l’orologio biologico sì. E io non potevo più attendere”. Le persone che conoscono mamma e figlia, nel vederle, non si sognano più di dire “povera bambina, senza una famiglia”.

Elisa e Maria stanno insieme da 10 anni. Elisa fa l’architetto mentre Maria lavora con i bambini. E di bambini vorrebbe fosse piena la loro casa. Una casa acquistata a fatica da Elisa, dove Maria risulta coinquilina ma non convivente, figuriamoci moglie o madre. Elisa e Maria stanno pensando all’inseminazione, sarà Maria a restare incinta ma Elisa, cosa sarà? La coinquilina di Maria.

Viviana invece vive sola con Mattia. Lui ha tre anni “ed è la mia famiglia, così come io sono la sua”. Si è separata dal marito dopo anni di vessazioni e ricatti psicologici, lui all’inizio ha provato a rivendicare diritti paterni, “ma poi ha capito che era troppo impegnativo fare il padre, si è trasferito all’estero e tanti saluti. Mi venissero a dire che prima eravamo più famiglia di adesso”.

Ettore e Carla si sono conosciuti un bel giorno di maggio, erano sposati entrambi e senza figli. Si sono innamorati, hanno lasciato rapporti vuoti appesi al nulla già da tempo e sono andati a convivere. Dopo un anno è arrivata Camilla, prima le rispettive separazioni, poi il divorzio di lei ma non di lui. La burocrazia, gli incartamenti, il caos. Nel frattempo Camilla ieri ha compiuto cinque anni, e i suoi genitori si vorrebbero sposare, “perché nel nostro Stato è una garanzia. Lo stesso Stato, però, che con cavilli burocratici e lungaggini non mi consente ancora di divorziare. Insomma, un cane che si morde la coda, se non l’uno l’altro. Decidetevi”, dice Ettore.

Franco e Marvin sono i genitori di Damiano e Francesco. “Chi è la mamma e chi il papà? Per l’esattezza siamo genitori e basta. Il problema è questo, nel volerci per forza applicare un’etichetta che sia riconducibile a quello che conosciamo, a quello a cui siamo abituati, ovvero una mamma e un papà. E questo crea una frattura, perché nell’impossibilità di ritrovare in noi ciò che è consuetudine, si crea la frustrazione e il rifiuto. Se iniziassero a vederci come genitori punto e basta, genitori che come gli altri sbagliano, amano, fanno errori e sacrifici, probabilmente non faremmo più così tanta paura. Siamo sposati all’estero ma ci domandiamo che senso abbia se non possiamo avere alcun diritto nel paese dove viviamo”.

Lorenzo e Giorgia sono sposati da sei anni e sono i genitori di Elisa, Roberto e presto arriverà Lucia. “Avere tre figli è sempre stato il nostro sogno”, dicono. Sono una famiglia tradizionale, nel senso che lui lavora con una finta partita iva e lei al secondo figlio è stata “invitata” a cercarsi un altro lavoro. Si è rimessa in pista lavorando da casa, corregge bozze di libri scritti da altri tutto il giorno. Da grande voleva fare la giornalista.

E poi ci sono Ada e Carlo, lei è divorziata con una bambina, e sta per avere Enrico da Carlo. Lisa, la primogenita, è felice di avere un fratello, e magari di condividere con lui quel papà che non è biologico ma che l’ha cresciuta.

Infine c’è Roberto, “mia nonna ha richiesto e ottenuto il mio affido molti anni fa, dopo che i miei genitori sono decaduti dalla potestà genitoriale. Mia nonna non è mia madre, è di più, è la mia famiglia”.

Che piaccia o meno, questa è la realtà dei fatti. Luca, Marco, Carmela, Francesca e gli altri esistono e non solo perché hanno scritto sulle pagine del mio blog, ma perché esistono per lo Stato e lo Stato non può fare finta di niente.

Il punto non è essere gli uni contro gli altri, semplicemente perché non esiste un noi e un loro. Il punto è rivendicare gli stessi diritti, quelli sì che devono essere trasversali, perché lo Stato non può rendersi complice di una discriminazione. L’errore del Family Day è proprio questo: rivendicare una discriminazione, contrapporre le famiglie “buone e giuste” a tutte le altre, arrogarsi il diritto di dire quello che le famiglie tradizionali magari neanche pensano: ovvero che loro contino più delle altre.

Verrebbe da dire: ma chi ve lo ha chiesto? Siete proprio sicuri di interpretare il loro pensiero? Siete proprio sicuri che le famiglie suggellate dal vincolo del matrimonio pensino di avere più valore delle altre? Siete convinti, come dice il cardinal Bagnasco, che i bambini hanno il diritto di crescere con una mamma e un papà, oppure pensate che i loro diritti siano altri, ad esempio il diritto alla felicità, il diritto all’inclusione, alla cura, a non contendersi ritagli di tempo con il lavoro totalizzante genitori, ma anche il diritto allo studio e all’istruzione, al tempo libero.

Per favore, voi che parlate di onestà, siate onesti intellettualmente. Parlate con le vostre famiglie tradizionali, chiedete loro quali sono i termini del dibattito quando si parla di famiglia, domandate cosa pensano, non restate arroccati nelle vostre posizioni e chiusi nella vostra piazza. Vi accorgerete che alla maggior parte della gente non gliene importa niente se una famiglia allargata, monogenitoriale o omogenitoriale ha gli stessi diritti della famiglia tradizionale, purché questi diritti siano garantiti. Non è una gara e nessuno vuole un riconoscimento esclusivo dei propri diritti a svantaggio degli altri. Noi non cadiamo nel vostro tranello, se ci volete contrapposti ci avrete uniti.

Quindi, cari organizzatori del Family Day, guardatevi intorno prima di parlare di famiglia e fateci capire a vantaggio di cosa o in nome di chi avete montato tutta questa messa in scena. Ringrazio Anna, Pietro, Marina, Francesco, Marco, Lorenzo, Giorgia, Ada, Carlo, Roberto, Elisa e Maria, Franco e Marvin e tutti quelli che hanno risposto alla chiamata che ho lanciato nei giorni scorsi dalle pagine di Genitoriprecari. Le famiglie, oggi, sono tutte queste. Uscite da quella piazza e fatevene una ragione.

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