Un rinvio, nuove tensioni e altrettanti dubbi. Per esempio sul limite dei 75mila ettari per i permessi di ricerca: secondo i comitati No Triv viene aggirato dalle aziende con un escamotage. “Le multinazionali presentano istanze contigue”, spiega a ilfattoquotidiano.it il costituzionalista Enzo Di Salvatore. Sta accadendo, ad esempio, al largo della costa tra Bari e Brindisi, nel golfo di Taranto e davanti alle coste di Marche e Abruzzo. Slitta intanto al 19 gennaio la camera di consiglio della Corte Costituzionale che deve esaminare la ammissibilità dei referendum sulle trivelle e le norme sulle perforazioni per l’estrazione di idrocarburi. Due giorni prima, il 17 gennaio, a Termoli si terrà una riunione dei movimenti anti-trivelle Coordinamento No Ombrina, Trivelle Zero Molise e Trivelle Zero Marche che chiedono una moratoria immediata. Dopo l’ok della Cassazione per il sesto quesito sul divieto delle attività petrolifere in mare entro le 12 miglia, quello che potrebbe salvare l’Abruzzo dalle trivellazioni previste nel progetto ‘Ombrina mare’ (la cui concessione è stata sospesa per 12 mesi), restano infatti irrisolti i nodi dei due quesiti che riguardano la durata dei permessi e delle concessioni e il piano delle aree.

IN ATTESA DELLA CONSULTA – Il presidente della Corte costituzionale Alessandro Criscuolo ha disposto il rinvio della camera di consiglio della Consulta. Una decisione presa per consentire ai legali di rivedere le memorie che avevano depositato sulla scorta della prima decisione della Cassazione, quella con la quale erano stati accolti tutti i quesiti referendari. Alla luce della nuova sentenza della Suprema Corte i legali dovranno depositare nuovamente le memorie (nelle quali già si chiedeva un controllo costituzionale delle modifiche introdotte con la legge di Stabilità). “Un atto dovuto, quindi, la firma della procura per sollevare il conflitto di attribuzione in Corte Costituzionale”, spiega il presidente del Consiglio regionale della Basilicata Piero Lacorazza (Pd). Sei le regioni che si sono già fatte avanti: Basilicata, Veneto, Puglia, Marche, Liguria e Sardegna”. Nelle ultime ore il Comitato di difesa della salute & ambiente Molise ha fatto appello alla Regione perché segua la stessa strada. La camera di consiglio discuterà e valuterà i quesiti: la decisione è attesa entro il 10 febbraio. Intanto il sottosegretario al ministero dei Beni culturali Ilaria Borletti Buitoni annuncia l’intenzione di chiedere una valutazione tecnica all’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio. Il Mibact rivendica un ruolo vincolante nelle procedure per le autorizzazioni alla ricerca e alla coltivazione di idrocarburi. “Condivido questa posizione” – è il commento di Lacorazza. Che proprio per questo si domanda: “Se il Mibact chiede un processo consultivo e autorizzativo ‘vincolante’ soprattutto per i luoghi paesaggisticamente di alto valore perché mai le Regioni e gli enti locali dovrebbero essere spogliati di ogni prerogativa?”.

I DUE QUESITI ‘IRRISOLTI’ – I nodi principali ancora da sciogliere riguardano, dunque, i due quesiti sulla durata dei permessi e delle concessioni e sul piano delle aree. “Nel primo caso la decisione nasce da una errata interpretazione delle norme”, spiega il costituzionalista e coordinatore No Triv Di Salvatore, secondo cui la Corte Suprema non spiega “perché la proroga della durata dei permessi e delle concessioni costituisca un problema per la ricerca e le estrazioni in mare e non per la ricerca e le estrazioni in terraferma”. Diversa la questione del piano delle aree. Dal 1927 ad oggi il rilascio dei permessi e delle concessioni è sempre avvenuto in modo ‘selvaggio’. Senza un piano, appunto. “In Italia si può cercare ed estrarre ovunque – sottolinea Di Salvatore – senza una pianificazione che stabilisca dei limiti per le aree interessate da agricoltura di pregio o per quelle di interesse naturalistico, solo per fare qualche esempio”. Lo Sblocca Italia prevedeva che il piano dovesse essere elaborato dal ministero dello Sviluppo economico “con la partecipazione fittizia degli enti locali e delle Regioni”. Nel frattempo sarebbe stato possibile rilasciare permessi e concessioni. Il quesito referendario aveva due obiettivi: cancellare la partecipazione fittizia degli enti locali e vietare nuovi rilasci fino all’adozione di un piano. “Solo che il Parlamento – spiega Di Salvatore – ha soppresso la norma che prevedeva il piano, facendo così cadere anche il quesito referendario”.

IL LIMITE DEI 75MILA ETTARI PER I PERMESSI DI RICERCA – Nel frattempo Coordinamento No Ombrina, Trivelle Zero Marche e Trivelle Zero Molise chiedono un’immediata moratoria sul rilascio di nuovi titoli minerari in Adriatico. I movimenti lanciano un appello agli enti interessati, affinché contestino “procedure che appaiono spesso viziate”. Il riferimento è al limite di 75mila ettari previsto per le istanze di permesso di ricerca, che verrebbe aggirato con un escamotage. “Le aziende presentano istanze contigue ottenendo per tutte queste i decreti di Via o i pareri, magari lo stesso giorno”, hanno scritto in una nota gli attivisti. E lo conferma Di Salvatore: “Sono diversi i ricorsi presentati contro i progetti con i quali si cerca di aggirare i limiti”. Davanti alle coste di Marche e Abruzzo quattro i permessi richiesti dalla società Enel Longanesi Developments, tra Ancona, San Benedetto del Tronto e Pescara. “Ognuno di questi sfiora i 75mila ettari, ma l’iter è stato avviato di recente e deve ancora essere attivata la procedura di Via”, hanno segnalato No Ombrina, Trivelle Zero Marche e Trivelle Zero Molise. La società Global Petroleum Limited è in attesa di ottenere i decreti di compatibilità ambientale per quattro istanze contigue tra Barletta e Brindisi. Nelle aree vicine, tra Bari e Brindisi sono cinque le istanze presentate dalla Northern Petroleum. Poi c’è la Shell con due istanze di ricerca attigue nello Jonio, al largo delle coste calabresi, stessa area a cui sono interessate anche Enel Longanesi e Northern Petroleum. Un’altra storia è quella delle istanze di prospezione, per le quali non valgono neppure i limiti dei 75mila ettari. Fra queste le richieste della Spectrum Geo, rispettivamente di 1,45 e 1,63 milioni di ettari, e della Petroleum Geoservice Asia Pacific, di 1,4 milioni di ettari.

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