MARINE LE PEN AU SALON DE L'AGRICULTURE

Cari amici di blog, ci ho pensato a lungo prima di postare questo testo, perché alla mia età l’andare controcorrente ormai grava su giunture sempre più usurate – come disse Indiana Jones – dai chilometri, prima ancora che dagli anni. Il rifiuto di intrupparsi nella schiera in marcia verso il paradiso del politicamente corretto risulta carico di ulteriori stress per che ambirebbe a un meritato(?) riposo.

Eppure lo confesso: non riesco a gioire per la vicenda dei ballottaggi francesi di domenica scorsa. Non riesco a immedesimarmi nelle felici sorti del Front Républicain ricompattato contro gli affreux del Front National, i poujadisti delle Le Pen e il loro inguardabile mix di ottusità, tracotanza e scemenze. Non riesco a prendere sul serio le tronfie retoriche della chiamata alle armi a difesa della Patria in pericolo, snocciolate da vecchi arnesi di partito come François Hollande e Nicolas Sarkozy, mentre risuonavano attorno le note patriottiche della Marsigliese. Per una volta false.

Appunto: ai miei occhi l’altra settimana in Francia non è avvenuto nulla di eroico, bensì l’ennesima messa in scena raggirante; a rivestire di nobili intenti insinceri il retrostante richiamo della foresta per torme indifferenziate di politicanti, che vedevano minacciati i propri ricchi terreni di caccia. In cui scorrazzano da una vita.

Questo è il vero dato del tempo: le strategie di coalizione messe in atto dalle corporazioni di partito, unificate nel momento della minaccia, per non farsi togliere di mano il timone della politica trasformata in una dantesca “nave senza nocchiero in gran tempesta”: purissimi istinti di sopravvivenza animali.

Sicché in Spagna si parla con sempre maggiore insistenza, per il prossimo dopo elezioni, di un accordo bipartisan tra socialisti e democristiani, sotto l’egida del loro partitocratrico di lungo corso Felipe Gonzales; per cui in Italia l’area berlusconiana – nei momenti di pericolo – non fa mai mancare il proprio appoggio al nostro partitocratico di nuova generazione Matteo Renzi.

Reazioni simmetriche che originano da una comune paura: quel 2011, l’anno della grande indignazione. Cioè il momento in cui quello che sino ad allora era considerato (ed era) “popolo bue”, in ben novanta paesi del mondo dichiarò a pieni polmoni di non essere più disponibile a farsi prendere in giro; che aveva capito finalmente il trucco chiamato post-democrazia (lo scontro elettorale ridotto a una gara tra marchi, nel politainment che trasforma la sfera pubblica in un set da reality); che reclamava con forza un ritorno alla democrazia effettiva, senza mediazioni che avessero come unico scopo il controllo sociale.

Fu allora che si iniziò a contestare la classica suddivisione tra destra e sinistra (equivocando tra comportamenti truffaldini di spregiudicati professional e principi distintivi che mantengono ancora tutto intero il loro significato).

Fu allora che si configurò un’area politica di riferimento per nuovi soggetti candidati a intercettare/interpretare la domanda di altra politica. In maniera diversa – situazione per situazione – ma sempre con una priorità: essere l’antagonista nel proprio contesto nazionale della corporazione asserragliata nei palazzi del potere.

Le diverse letture della modalità di radicamento nell’indignazione determina il possibile esito dell’operazione antagonistica: Syriza in Grecia, con forti connotati rosso-antico, e Podemos in Spagna, con una lettura più consapevole della condizione postmoderna, sono nitidamente posizionate sul fronte rifondativo della democrazia; i Cinque stelle, pure attardati dalle pre-politicità dei guru fondatori, sembrano maturare una più matura soggettività nel contrasto della restaurazione renziana, grazie al cambio generazionale in corso.

Purtroppo “la guerra di liberazione dal clero di partito” (Pierre Bourdieu) in Francia ha trovato un referente che può produrre soltanto sconquassi civili per la totale estraneità ai principi democratici e repubblicani. Il fatto che tale barbarie sia stata fermata è una buona notizia, ma non al punto da far gioire se chi ha creato le condizioni per il tracimamento lepenista è riuscito ancora una volta à sauver ses fesses (salvarsi le chiappe).

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