La Croazia blocca le trivelle in Adriatico per salvare il turismo, mentre in Italia il governo Renzi va avanti con le concessioni. Stesso mare, politiche diverse. Dal Pd parte un’interpellanza alla Camera per fermare le estrazioni, mentre i territori interessati cercano di opporsi all’avanzata delle compagnie petrolifere. Eppure dietro la scelta del governo croato non c’è solo la difesa dell’ambiente, ma anche la necessità di non ‘esporsi’ prima delle elezioni ormai prossime. “Abbiamo sospeso la ricerca del petrolio nel mare Adriatico e penso che dovrete farlo anche voi in Italia” sono state le parole di Llija Zelalic, delegato dell’Ambasciata di Croazia in Italia. Che ha spiegato: “Questo è un grande pericolo. Bisogna salvaguardare le coste”. Anche il presidente degli Stati Uniti Obama nei giorni scorsi aveva annunciato il blocco alla ricerca di petrolio in Alaska. La Croazia, dunque, si muove nella stessa direzione. Con l’Adriatico diviso a metà. Almeno per ora, perché la scelta del governo croato è tutt’altro che definitiva.

IL DIETROFRONT (TEMPORANEO) DELLA CROAZIA – Il messaggio del delegato dell’Ambasciata croata è stato chiaro: “La risorsa del turismo è più importante da sviluppare per i Paesi che si affacciano in questo mare. Il petrolio esiste in altri posti”. Molto chiare, però, anche quelle del ministro dell’Economia Ivan Vrdoljak che aveva preannunciato lo stop l’estate scorsa. Sono mesi, infatti, che il governo di Zagabria ha sospeso l’iter per l’approvazione finale dei decreti che autorizzano l’inizio delle attività petrolifere assegnatarie dei lotti di estrazione. I contratti non sono ancora stati firmati: tutto volutamente rinviato al dopo elezioni. Una decisione presa tenendo conto anche del calo del prezzo del petrolio. Ormai manca poco: si vota l’8 novembre. Solo in seguito si capirà se è davvero tutto bloccato oppure se avranno seguito gli accordi presi con le compagnie. Nel 2015 il governo croato ha assegnato dieci nuove licenze esplorative nell’Adriatico. A luglio hanno rinunciato alle concessioni l’austriaca Omv e la statunitense Marathon Oil, due compagnie petrolifere a cui erano state assegnate sette delle dieci aree di ricerca. Le altre tre erano state concesse all’ungherese Mol, alla società pubblica croata Ina e al consorzio tra l’Eni e l’inglese Medoilgas/Rockhopper con la società italiana che ha una quota del 60 per cento della licenza.

L’ANNUNCIO E L’INTERPELLANZA DEL PD – Di fatto in Croazia già da tempo le compagnie petrolifere rinunciano ai permessi per la mancata convenienza economica delle estrazioni. Non solo. Metà della popolazione è contraria alle perforazioni, mentre la Slovenia le ha già vietate. Le prime reazioni alle dichiarazioni di Zelalic non si sono fatte attendere. Un’interpellanza alla Camera è stata presentata da una trentina di deputati del Partito democratico: si chiede la revisione dell’articolo 38 dello ‘Sblocca Italia’, che accentra dai territori a Roma il potere di rilasciare le autorizzazioni per le nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi. Primo firmatario è Alessandro Bratti, presidente della commissione Ecomafie.

LO STOP DI OBAMA IN ALASKA – Nelle scorse settimane anche il presidente degli Stati Uniti Obama ha imposto lo stop alle trivelle in Alaska per almeno un anno e mezzo. L’annuncio, però, è arrivato in seguito al maxi-flop della Royal Dutch Shell, che dopo aver speso 7 miliardi di dollari per le trivellazioni offshore nella mare dei Chukchi ha poi deciso di annullare i progetti. Motivo? A 2.100 metri di profondità non sono stati trovati gas e petrolio sufficienti per permettere uno sfruttamento economicamente vantaggioso per il pozzo. Era il primo ‘esplorativo’ autorizzato nel Mar dei Chukchi negli ultimi 24 anni. A fermare le trivelle non erano bastate le proteste di associazioni ambientaliste e popolazioni indigene preoccupate sia dell’incremento dei gas serra, sia delle conseguenze di un ipotetico sversamento di petrolio sugli animali che popolano l’Artico. Ma dopo il flop dei progetti, il governo ha optato per un dietrofront, revocando due autorizzazioni concesse a Shell e Statoil. Di fatto ora c’è lo stop. Per almeno un anno e mezzo. Poi toccherà al nuovo presidente prendere una decisione definitiva (negli States si vota a inizio novembre 2016).

LA BATTAGLIA DELLE REGIONI – Cosa accade, invece, in Italia? In attesa del referendum contro le trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa e sul territorio proposto da 10 Regioni (che chiedono l’abolizione di parte dell’articolo 38 della legge ‘Sblocca Italia’ e dell’articolo 38 dell’ultimo Decreto Sviluppo) ciascun territorio porta avanti la propria battaglia. Il turismo è una risorsa importante anche sulla sponda italiana dell’Adriatico, eppure sul tavolo del Governo c’è ancora il caso “Ombrina mare”, il progetto petrolifero di Rockhopper a pochi chilometri dalla costa abruzzese, per discutere del quale il governo ha convocato una Conferenza dei servizi per il 9 novembre. Nel frattempo il consiglio regionale abruzzese ha approvato una legge che estende ai progetti già avviati il limite delle 12 miglia introdotto nel 2012, entro il quale le attività di ricerca sono vietate. La Shell, poi, ha già ottenuto la concessione per due nuove trivellazioni a largo della Puglia e nello Ionio. E solo pochi giorni fa la Rockhopper ha vinto il ricorso al Tar della Basilicata, contro la decisione della Regione di fermare il progetto di ricerca di idrocarburi ‘Masseria La Rocca’.

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