Nessuno sa se la tempesta sia appena iniziata o se il peggio sia passato. Non si sa se e dove colpirà ancora. Ma la tentazione è forte e così si fanno già le prime valutazioni dei danni e le considerazioni su vincitori e vinti. Andiamo con ordine. Senza tener conto della mina class action che qualcuno, come Repubblica, ha stimato in un esborso da 50 miliardi di dollari, per il gruppo Volkswagen ci sono, in teoria, due punti fermi. La multa da 18 miliardi di dollari e il crollo in borsa del 30 per cento. In realtà anche queste sono cifre in movimento. Dopo tre giorni in immersione il titolo della casa tedesca ha abbozzato un recupero mentre l’ammontare finale della sanzione è ancora tutto da scoprire e sarà frutto di ricorsi, patteggiamenti e intese. Basti pensare che 18 miliardi è quello che alla fine pagò British Petroleum per aver devastato il golfo del Messico. La casa tedesca, che al 30 giugno poteva contare su 27,7 miliardi di cassa, per ora ha messo da parte 6,5 miliardi di euro. Meno della metà della cifra indicata. Ovviamente i conti ne risentiranno e con loro gli azionisti del gruppo. Il primo socio è Porsche con circa il 35% del capitale, seguita da Qatar holding con il 16% e dal land della Bassa Sassonia con il 12,7 per cento. Piccole partecipazioni sono in portafoglio di numero di fondi comuni. In nessun caso di tratta di quote significative. I contraccolpi della vicenda si sono fatti sentire anche sul mercato dei bond. In particolare è precipitato il valore di quelli “ibridi” (questa volta il riferimento non è al tipo di motore ma a titoli a mezza strada tra azioni e obbligazioni). Volkswagen ha in circolazione titoli di questo tipo per 7,5 miliardi di euro, il 12% del mercato europeo, e il loro crollo ha generato un effetto contagio. I bond Volkswagen tradizionali valgono invece 30 miliardi di euro e incidono meno sull’indice complessivo (1,4%).

Le ripercussioni per le altre case automobilistiche sono tutte da capire. Certamente i concorrenti potrebbero avvantaggiarsi da un presumibile calo delle vendite di Volkswagen. Al momento molto difficile da quantificare e, secondo alcuni analisti, alla fine non così esteso come si potrebbe pensare. David Haigh, amministratore delegato di Brand finance, ha azzardato una prima quantificazione dei danni “reputazionali” sul valore del marchio Vw che sarebbe sceso in questi giorni di 10 miliardi di dollari. Standard and Poor’s sottolinea però come la vicenda potrebbe portare all’introduzione di norme ambientali più severe per l’intero settore provocando un aumento dei costi per tutti. Considerazione che ha acceso i riflettori sulle aziende più concentrate sulle vetture elettriche come Tesla o persino Apple che ha annunciato per il 2019 la prima consegna della sua auto di questo tipo. Le autorità Usa intanto hanno già annunciato che verranno effettuati test anche sulle altre case automobilistiche. Il sospetto che Volkswagen non sia l’unica ad aver truccato i dati sulle emissioni è stato molto presente sui mercati in questi giorni tant’è che tutte le case automobilistiche ne hanno risentito in borsa. I più maliziosi hanno messo a confronto gli stanziamenti di General Motors e Volkswagen per sostenere candidati alle elezioni statunitensi e per le attività di “lobbying”. La casa automobilistica americana ha speso per le due voci 12 milioni e 157 milioni di dollari dal 1992 ad oggi. Quella tedesca rispettivamente appena 50mila e 17 milioni di dollari.

Infine l’industria tedesca. L’automotive è la colonna portante dell’industria manifatturiera tedesca con un contributo al Pil del Paese di quasi il 3 per cento. Il giro d’affari, compreso l’indotto, supera i 300 miliardi di euro. Ogni anno dalle fabbriche della Germania escono circa 5,5 milioni di veicoli, il 77% dei quali finisce su mercati stranieri. I costruttori tedeschi sono già sotto pressione a causa del rallentamento dei mercati asiatici dove sono molto presenti. Un fattore di forza diventato un elemento di debolezza. Royal Bank of Scotland ricorda che al settore auto sono riconducibili il 23% di tutte le spese tedesche in Ricerca e Sviluppo. Solo Volkswagen dedica a questa voce 13 miliardi di euro l’anno. La casa automobilistica è anche il primo datore di lavoro del Paese con 265mila addetti, lo 0,6% del totale della forza lavoro. Sono numeri che potenzialmente possono provocare un impatto sull’economia tedesca nel suo complesso. In prima linea c’è tutta la catena dei fornitori di componentistica, sia nazionali che stranieri. Le prime 5 aziende tedesche della filiera sono Bosch, Continental, ZF, Basf, Schaeffler. Secondo i dati di Anfia, l’associazione che rappresenta le aziende italiane dell’automotive, l’export di componentistica verso la Germania vale poco meno di 4 miliardi di euro su un totale di circa 20 miliardi. La sola Volkswagen acquista componenti “made in italy” per 1,5 miliardi. Anfia precisa però di non disporre al momento di elementi per valutare l’eventuale impatto della vicenda.

Articolo Precedente

Fisco, schedati i 27mila italiani che hanno nascosto 22 miliardi a San Marino

next
Articolo Successivo

Giochi, i Monopoli a Padoan: “Tagliare percentuale che va a concessionari? Meglio lasciar perdere”

next