Il suo cortometraggio d’animazione, “La ballata dei senzatetto”, ambientato nell’Emilia Romagna del terremoto del 2012, ha fatto il giro del mondo: Cannes, Los Angeles, e ora concorrerà per vincere il riconoscimento più ambito per chi fa cinema, il premio Oscar. Eppure, racconta Monica Manganelli, 38enne scenografa, concept e visual artist di Parma emigrata all’estero “perché qui possibilità per chi non fa parte dei soliti circoli non ce ne sono”, “in Italia non l’aveva preso in considerazione nessuno”. Né i festival, né i concorsi, nemmeno quello di Pontenure, in provincia di Piacenza, emiliano quanto emiliana è lei.

Com’è andata?
A giugno dell’anno scorso io e il mio team abbiamo vinto un bando dell’Emilia Romagna Film Commission. In sette mesi, quindi, abbiamo creato il cortometraggio, La ballata dei senzatetto, ispirata alla storia di un bambino, figlio di un vigile del fuoco, che dopo il terremoto aveva paura a uscire di casa. Quel bimbo è il protagonista del corto, Tommaso, che assieme alla sua lumaca, simbolo della tenacia emiliana, che avanza e non si arrende, compie un viaggio nell’Emilia terremotata, un set virtuale creato grazie alla documentazione fotografica che ho raccolto, le chiese distrutte, la torre dell’Orologio, le case in macerie, mescolata alla poetica surrealista della pittura. Ma qui in Italia non è stato preso in considerazione da nessuno. E pensare che negli ultimi mesi, all’estero, ha fatto il giro di 14 festival, 5 dei quali solo a settembre, e poi si è aggiudicato il Los Angeles Shorts Fest, che l’anno scorso è stato vinto dalla Disney, guadagnandosi la possibilità di concorrere, nella propria sezione, sia agli Oscar, sia ai Bafta and Canadian Screen Award.

Ricorda dove si trovava a maggio del 2012, all’epoca delle scosse?
Ero all’estero per lavoro, a Berlino, e ricordo che mi sentii molto scossa da ciò che accadde. Sono emiliano romagnola, amo la mia terra, la mia gente, è la mia casa. Mi documentai subito, raccolsi quante più testimonianze possibile, e così mi venne l’idea di realizzare il cortometraggio: una ballata, perché la musica ha un ruolo molto importante nel film, per i senzatetto, i miei tanti conterranei rimasti senza casa dopo il dramma del terremoto. Il viaggio di Tommaso inizia nella disperazione, per capire come superare la paura, e la morale è che l’unica soluzione che ha aiutato tutti a non perdere la speranza è stata la solidarietà e il non isolarsi. Lo dedico alla mia terra, e ai tanti che hanno trovato la forza di farsi coraggio.

In Italia però non se n’è sentito molto parlare, almeno finché non ha vinto il Los Angeles Shorts Fest.
Per me è un tasto molto dolente. Purtroppo, però, in questo paese è così: lavorano sempre i soliti noti, quando ci sono molti autori al di fuori delle cerchie famose che hanno talento, solo che non c’è spazio per emergere. Per iniziare.

Quando ha scelto di lasciare l’Italia per cercare fortuna altrove?
Io ho iniziato come scenografa per il teatro lirico, ma dopo più di 10 anni da assistente mi sono resa conto che nessuno mi avrebbe mai dato la possibilità di fare qualcosa di mio. Sarei stata un’assistente per sempre, una gavetta infinita. In Italia abbiamo assistenti registi di cinquant’anni, tutti sono attaccati alla poltrona, non c’è spazio per i giovani. Partendo, però, mi si è aperto un mondo, ho imparato una nuova metodologia di lavoro, è stata la mia fortuna.

La sua prima esperienza è stata “Cloud Atlas”, il film dei fratelli Wachowski, con Tom Hanks.
E lì ho scoperto come funziona davvero la meritocrazia. Ero l’ultima arrivata, eppure mi hanno trattata benissimo, ho avuto la possibilità di lavorare accanto ai registi e al production designer, mi guardavano e mi dicevano “tu crea”. Ma chi te lo lascia fare in Italia? All’estero l’ultimo arrivato si trova a lavorare in produzioni come Games of Thrones o Star Wars. Non c’è paragone tra essere quello nuovo qui o altrove.

Anche dal punto di vista economico? 
Assolutamente. Nessuno, da quando ho lasciato il mio Paese d’origine, ha mai cercato di mercanteggiare sul mio stipendio, come fossimo in un suq. Vieni pagato per quello che vali, per quello che sai fare. In Italia, per quanto riguarda il settore culturale, siamo considerati il terzo mondo e chi ci lavora non è valorizzato economicamente, si deve accontentare di quel poco che gli viene dato, quando c’è. Come fosse un passatempo, invece che un mestiere.

Per quale ragione, secondo lei? 
Credo sia andato perduto il rispetto nei confronti della nostra cultura. Ciò che vedo è un’ignoranza imperante, nella terra che ha dato i natali a maestri del calibro di Verdi e Puccini, i nostri teatri sono allo sfinimento, il cinema è un circolo chiuso, la qualità è bassa rispetto ad altri paesi. Il che è assurdo, visto il patrimonio culturale di cui disporrebbe l’Italia.

Quindi per i giovani che desiderano lavorare nel settore l’unica speranza è partire?
Assolutamente. Fossi un giovane d’oggi, a 20 anni prenderei un aereo, anche perché il cinema all’estero ha una qualità molto superiore, quindi è più facile farsi un nome e poi, eventualmente, tornare. Io ho insegnato per anni a Cinecittà, e quando i ragazzi mi chiedevano un consiglio dicevo sempre loro di fare i bagagli, sia per imparare davvero a lavorare, sia per via delle condizioni di lavoro.

Progetti per il futuro?
Per quanto riguarda il cinema, ho in mente il mio primo film. E poi tornerò al mio antico amore, il teatro, firmando le scenografie della Trilogia delle regine Tudor di Donizetti, in coproduzione con Il Teatro La Fenice di Venezia e il Carlo Felice di Genova. Inoltre sto cercando di produrre due docu-film, entrambi dedicati a due grandi bellezze italiane: la lirica, e la moda. Nel primo caso tenterò di raccontare il clima che si respira dietro le quinte del Roberto Devereux di Doninzetti, e nel secondo, la magia di un atelier storico come quello delle sorelle Fontana, le prime a dare impulso al Made in Italy attraverso gli incantevoli abiti disegnati per donne del calibro di Anita Ekberg, Liz Taylor, Audrey Hepburn e Grace Kelly. E’ un modo per promuovere il patrimonio italiano attraverso il mio linguaggio, un misto tra arte, animazione, 3d e documentario.

E lo promuoverà in Italia?
No, all’estero. Ho provato a prendere contatti con i produttori italiani, ma come al solito non mi ha risposto nessuno.

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