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La cabina della funivia si arrampica, come su una ragnatela, sulle strutture in ferro dei primi anni del Novecento di Queensboro Bridge, scenario di tanti film. Il primo tratto in salita si lascia dietro le torri dell’East Side di Manhattan fino a far scoprire nel punto più alto del percorso, lasciando senza fiato, tutto il corso metropolitano dell’East River e, in fondo verso sud, il porto di New York con le imbarcazioni che procedono in ogni direzione. Poi, dopo qualche attimo la cabina vetrata scende velocemente verso il basso “atterrando” su Roosevelt Island.

Per raggiungere l’estremità meridionale dell’isola si attraversa un imprevedibile -siamo al centro di New York- paesaggio fatto di edifici in abbandono accanto a nuovissimi condomini di lusso e spazi verdi in parte curati, in parte in abbandono.

san patrizio

Dopo un gradevole lungofiume, il cammino si lascia a lato la presenza sorprendente di un rudere -l’unico sottoposto ad un vincolo di protezione in città- in stile neogotico in pietra scura. Sono i resti, circondati da sterpaglie ed erba alta, dello Smallpox Hospital, costruito a fine Ottocento per isolare i malati di vaiolo, su disegno di James Renwick jr, l’architetto della cattedrale di San Patrizio.

Subito dopo, improvvisamente ci si trova a fronteggiare cinque faggi della stessa altezza, perfettamente allineati; ai lati del filare due passaggi immettono in uno spazio algido: è il Franklin D. Roosevelt Four Freedoms Park disegnato, su un impianto simmetrico, da Louis Kahn, uno degli ultimi maestri dell’architettura del Novecento, due anni prima di morire nel 1972. Il progetto era rimasto tra i tanti non realizzati dell’architetto di origini estoni fino ai primi anni Duemila, quando inizia una raccolta di fondi che porterà alla realizzazione dell’opera.

Roosevelt Four Freedoms Park

Passato l’ingresso, la vista frontale è completamente chiusa da un’ampia scalinata. La luce del mezzogiorno è accecante, intorno tutto è levigato e bianco.

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In quel punto l’isola è molto stretta; di fronte ai gradini rivolgendo lo sguardo sui lati si vedono scorrere le acque del fiume e l’inizio di lunghi corridoi che corrono sulle sponde opposte dell’isola, fronteggiando due opposti paesaggi: il Palazzo di vetro delle Nazioni Unite e i grattacieli di Manhattan ad ovest, i capannoni, le case popolari e gli uffici di Queens ad est.

Ma è avanzando sulla scala che si scopre di trovarsi esattamente sulla punta di Roosevelt Island. Man mano che si salgono gli ultimi gradini appare un grande prato che pende verso l’estremità dell’isola. Doppi filari di tigli trascinano con forza lo sguardo verso il punto più basso del prato dove, immersa nell’East River, una stanza quadrata a cielo aperto chiude la composizione.

L’inclinazione del piano verde insieme alla convergenza dei filari d’alberi sui due lati lunghi, producono una fortissima accelerazione prospettica con un effetto di “risucchio” dello spazio verso la punta; sembra messo in atto un meccanismo spaziale che fa ricordare, peraltro anche in pianta e se pure ad un’altra scala, la borrominiana illusione ottica della Galleria di Palazzo Spada.

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All’entrata del recinto a cielo aperto è poggiato un cubo con il ritratto bronzeo di Roosevelt, e sul retro un brano dal discorso delle quattro libertà, pronunciato dallo statista nel 1941. Dentro la “stanza”, chiusa a est e ovest da muri alti abbastanza da impedire la vista dei due rami del fiume, ci si trova di fronte allo spettacolo della confluenza delle acque.

L’idea della punta di un’isola che diventa un artefatto monumentale non è nuova. Il Memorial des Martyrs de la Deportation realizzato da Georges-Henri Pingusson nel 1962 sulla estremità meridionale dell’ Île de la Cité, proprio dietro l’abside della cattedrale di Notre-Dame de Paris, se pure completamente diverso, essendo un claustrofobico scavo di forma triangolare con una piccola finestra che inquadra solo la corrente, nonostante le dimensioni decisamente più ridotte rimane molto simile sotto l’aspetto insediativo, in quanto artificio che costruisce e permette di abitare la punta dell’isola. E non si può escludere che Kahn avesse conosciuto quell’opera.

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Attraversare il Franklin D. Roosevelt Four Freedoms Park è certamente un’esperienza forte che permette un modo nuovo di leggere il rapporto tra l’isola, il fiume e i quartieri che vi si affacciano.

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