Calunnia e pubblicazione di notizie false. Sono questi i reati ipotizzati dalla procura di Palermo nei confronti dei due collaboratori de L’Espresso Piero Messina e Maurizio Zoppi (indagato solo per il secondo reato), autori dell’articolo sulla presunta intercettazione tra il governatore siciliano Rosario Crocetta e il medico Matteo Tutino (“Lucia Borsellino va fatta fuori come suo padre”, avrebbe detto Tutino al telefono).

Entrambi i collaboratori, sentiti dai pm in presenza dell’avvocato Fabio Bognanni, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L’esistenza dell’intercettazione è stata smentita più volte dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Ma anche dalle procure di Catania, Caltanissetta e Messina. Mentre il settimanale ha sempre ribadito pubblicamente l’esistenza dell’intercettazione difendendo la correttezza dei due collaboratori. Messina è indagato anche per il reato più grave di calunnia perché avrebbe indicato come fonte della notizia un investigatore che, però, ha negato di avergliela riferita.

Dopo l’articolo dell’Espressoavvenuto pochi giorni prima della commemorazione della strage di via D’Amelio – Crocetta è finito nell’occhio del ciclone per essere rimasto in silenzio – secondo l’articolo – davanti alla presunta frase di Tutino (ai domiciliari per truffa) contro l’ex assessore alla Sanità Lucia Borsellino che si è dimessa pochi giorni prima della pubblicazione.

A Crocetta la richiesta di farsi da parte è arrivata da più fronti, in primis dal Pd. Ma il governatore si è sempre difeso sostenendo di non aver mai sentito pronunciare quelle parole. E nel suo discorso davanti all’Assemblea regionale siciliana ha ribadito la volontà di “non dimettersi e di non voler andare al voto anticipato”, denunciando la presenza “di poteri occulti che minacciano la democrazia”. Sul fronte legale, il suo avvocato Vincenzo Lo Re ha annunciato di voler chiedere al settimanale un “risarcimento danni da dieci milioni“.

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