Il cellulare come nuovo test di valutazione della salute psichica delle persone che lo usano? Così sembra evidenziare lo studio di David Mohr pubblicato sul Journal of Medical Internet Research, o per lo meno il cellulare come strumento rivelatore di rischio. La ricerca di Mohr identifica il punto di demarcazione tra depressione e non depressione nella soglia dei 68 minuti quotidiani di utilizzo dello smartphone, lo usa più di 68 minuti chi è depresso, meno di 68 chi non lo è.

Gli autori riconoscono la relatività e la parzialità dei risultati dello studio effettuato su 40 individui precedentemente valutati attraverso un questionario sulla depressione. I risultati sono stati poi messi in relazione al tempo e al luogo di utilizzo del cellulare. A pensarci bene i risultati ottenuti confermano informazioni note: chi vive uno stato depressivo manifesta un repertorio di comportamenti e spostamenti più limitati rispetto a chi non lo è e quando ci si trova nello stato di sofferenza, si tende a ricercare fonti di distrazione e lo smartphone sembra piuttosto adatto a questa esigenza.

Quanto è effettivamente utile misurare, catalogare, descrivere, ridurre a pochi dati uno stato d’animo ben più complesso che è spesso il risultato di un lungo percorso? quanto aiuta soffermarsi ulteriormente – dico ulteriormente visto che è un atteggiamento prevalente nell’approccio di studio alla persona – su aspetti descrittivi e misurabili di un fenomeno così sofisticato? Più che misurare e numerare, sarebbe forse più utile significare. Monitorare e diagnosticare una persona attraverso una app, spostare il controllo del proprio equilibrio da una consapevolezza interna ad una misurazione sempre un pò più esterna e farla gestire da altri, esperti o device che siano: che senso ha considerando l’importanza delle relazioni nelle origini della sofferenza emotiva e nell’esito di una cura?

Chi è sufficientemente in contatto con se stesso sa da solo come si sente, chi invece lo è di meno potrebbe trovare poco giovamento da una diagnosi “a sua insaputa” come sarebbe quella della app. La diagnosi si aggiungerebbe alle tante cose che sembrano non appartenergli e che finirebbe magari per controllare.

La depressione è un’alterazione dell’umore verso forme di profonda tristezza, con riduzione dell’autostima, bisogno di autopunizione, perdita di interesse, riduzione dell’attività, incapacità di provare piacere. Segue a volte eventi che si prestano ad essere vissuti come perdita, fallimento, delusione: la perdita di qualcosa o di qualcuno, il mancato raggiungimento di obiettivi o la presa di consapevolezza di un qualche proprio limite. Allontanarsi dal mondo e chiudersi in se stessi è la soluzione naturale a questo stato d’animo, rifugiarsi in se stessi è una forma di auto-aiuto, un modo fisiologico di rigenerarsi. Consideriamo che la depressione, come tutti gli stati d’animo e le emozioni umane, non è una condizione stabile ma variabile, che può aumentare o diminuire in rapporto a diversi fattori.

Sarebbe forse interessante conoscere quanto in effetti il cellulare aiuti a farlo, quanto chiudersi in casa con uno smartphone favorisca la risoluzione del fisiologico ritiro depressivo, magari monitorando i 40 volontari in tempi più lunghi per vedere come si muovono i 15 giorni della durata dello studio sono forse un periodo troppo breve nella vita di chi ha partecipato, per coglierne le oscillazioni.

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