Il rapporto uomo-tecnologia torna anche nella prima prova dell’esame di maturità 2015. L’anno scorso il Miur aveva proposto di ragionare sulla pervasività di robot, macchinari, strumenti informatici nella vita quotidiana delle persone. Questa mattina, invece, gli studenti che hanno scelto la traccia tecnico-scientifica sono impegnati a scrivere un saggio breve-articolo di giornale su come internet e i social network hanno trasformato la comunicazione umana sia in positivo e che in negativo. Un argomento senz’altro urgente.
È dall’inizio del nuovo secolo che è presente nella prova di italiano (“Scienza e tecnologia” nel 2012, “Social network, internet, new media nel 2009, “Conoscenza, lavoro e commercio nell’era di internet” nel 2002, “Da Gutenberg al libro elettronico: modi e strumenti della comunicazione nel 2000”). E molto azzeccato per la generazione dei nativi digitali, quella a cui appartengono i ragazzi che in queste ore stanno affrontando la maturità. Tra i documenti di supporto, uno stralcio del libro di Maurizio Ferraris “Dove sei? Ontologia del telefonino” e Daniele Marini “Con smartphone e social è amore (ma dopo i 60 anni)”.
Anche Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, tra gli autori selezionati nel 2014 con un estratto del libro “Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica”, condivide l’ambivalenza di questa trasformazione. “La tecnologia informatica – commenta – è amica e nemica della comunicazione interpersonale”. Il motivo è sotto i nostri occhi: “Oggi la società è diventata una solitudine di massa. Lo spazio pubblico è sempre meno pubblico, ci rifugiamo più spesso nelle nostre case e quasi tutti passiamo più tempo di fronte a un computer e meno in compagnia di un nostro simile. Il viaggio in treno è tra alieni. Chi ha le cuffie nelle orecchie, chi si guarda un film al pc, o lavora su tablet. In questo senso allora meglio scrivere mail, chattare, postare foto su Facebook per ricevere i commenti degli altri piuttosto che stare in silenzio”.
Ma gli aspetti negativi, forse più difficili da individuare da parte dei maturandi, sono più di uno. E spetta in particolare agli adulti, agli insegnanti e agli intellettuali farsene carico e dare una risposta al problema. Il primo, spiega Galimberti, riguarda la tendenza nelle scuole a sostituire le lezioni frontali dei docenti con software e pc a disposizione dei singoli allievi. “Il web offre un’infinità di informazioni, è vero, ma di sicuro non aiuta il ragazzo a sviluppare la capacità di sintesi che solo il professore può insegnare. Sintesi significa essere in grado di fare connessioni tra le conoscenze, trovare il filo rosso che le tiene unite, i legami tra i fatti, il nesso logico degli eventi. Un’abilità fondamentale nella crescita personale, quella che ci aiuta a non subire la realtà, ma interpretarla, a interagire e modificare il flusso della storia”.
Il secondo inconveniente dell’informatica “è ancora più grave”, continua il filosofo. “L’approccio al computer coltiva intelligenze convergenti, cioè che si limitano a trovare soluzioni all’interno delle stesse regole imposte dal sistema che si vuole scardinare, una specie di circolo vizioso che porta ad avere un pensiero unico”. Al contrario l’ambiente scolastico dovrebbe educare “all’intelligenza divergente”. Che cos’è? “Un modo di ragionare che ribalta gli schemi per scoprire o fondare nuove realtà. È il processo di creazione della mente, estraneo alle aule scolastiche purtroppo. Ecco perché gli studenti creativi vanno male a scuola e gli insegnanti anziché intercettare i loro talenti e ascoltarli li giudicano con brutti voti”. Galimberti fa un esempio. “Se Copernico non fosse uscito dagli schemi e non avesse avuto l’idea della Terra che gira intorno al Sole oggi continueremmo a pensare che è siamo che noi che stiamo fermi e il sole gira”.
Fuori dalla scuola, la comunicazione privata sta diventando impulsiva. “I social network uccidono la riflessione. Costringono l’utente a rispondere immediatamente, senza neanche avere il tempo di pensare a quello che ha davvero in testa. E poi impongono alla persona ad avere sempre un’idea su tutto, che è impossibile. L’effetto è la dispersione mentale”. Per Galimberti non è vero che Twitter, con 140 caratteri a disposizione, educa alla sintesi. “È l’abolizione del pensiero, che si riduce a uno slogan. A questo punto hanno più potere i grafici degli scrittori”. Verso quale direzione sta andando l’umanità non si sa. “Il futuro – conclude – è imprevedibile perché non abbiamo codici di riferimento, è tutto velocissimo. A essere sincero non so come cresceranno i giovani di oggi, chi diventeranno. Prendo solo atto dei pericoli della tecnologia. Rendersene conto è il primo passo per cercare di cambiare le cose. Non vuol dire arrestare il progresso, sia mai”.