Vi si trovano i soliti noti. Al numero 180 c’è il Burundi con l’attuale Presidente che vuole spostare la Costituzione in avanti di cinque anni. Segue il Burkina Faso che si è messo a cercare le ossa di Thomas Sankara sotto la terra del mito della rivoluzione. A ruota si trova l’Eritrea, una prigione a cielo aperto che sforna giovani per la guerra e l’emigrazione. Il numero 183 è custodito gelosamente dalla Sierra Leone i cui diamanti fanno felici le signore e i contrabbandieri. Il Tchad del petrolio, delle partecipazioni alle guerre si trova nella scia di sabbia. La Repubblica Centrafricana esce dalla guerra civile dopo la conferenza di pace e le inevitabili elezioni ritardate. E infine tocca a noi. Proprio come l’anno scorso e l’anno precedente. Buoni ultimi della lista rammendata dalle Nazioni Unite basata sull’indice di sviluppo umano. Il numero 187 del Niger chiude il plotone ufficiale. Rimangono scampoli di paesi i cui confini appaiono labili come le loro statistiche.

Nel documento si parla di paesi dallo sviluppo umano molto elevato. Poi quelli dallo sviluppo elevato. Seguono i paesi con un medio sviluppo umano. Chiudono la lista i paesi dallo sviluppo umano debole. L’indice Onu è stato stilato prendendo in esame tre fattori principali. Salute e longevità, accesso all’educazione e livello di vita decente. Nel Niger la speranza di vita si aggira sui 58 anni e la durata media della scuola passa di poco l’anno. Gli anni di scuola sperata sono circa cinque. L’uranio va male, il prezzo del barile di petrolio è stato dimezzato, l’oro e altri minerali lasciano a desiderare. Le spese accresciute sono quelle della difesa per armare le guerre alle frontiere, nel Mali, verso la Libia e sconfinando in Nigeria, il cui nuovo Presidente appare deciso a chiudere l’avventura di Boko Haram. E allora rimangono i migranti come risorsa da sfruttare. Compagnie di viaggi, passeurs, trafficanti, mediatori, poliziotti, umanitari e persino giornalisti. L’industria che va.

Nel Niger la povertà si trova come a casa propria. Benvoluta e persino ricercata, cerca di rendersi utile coi mezzi limitati che possiede. Carestie, epidemie, siccità, piani strutturali e soprattutto la classe politica del paese. Una specie di amore a prima vista l’ha legata alle agenzie umanitarie a cui va tutta la sua riconoscenza. Grazie a loro lei prosegue indisturbata il suo sogno. Rimanere a lungo in un paese che sente come suo. Una creatura di sabbia a lungo coltivata e custodita. Poche le velleità reali a cui ha dovuto fare fronte con diligenza e coerenza. Gli anni di disboscamento hanno finalmente creato ciò che cercava. L’amico deserto che avanza e scaccia gradualmente la terra fertile col vento secco che si perde lungo il fiume. I progetti di sviluppo non le fanno più paura. Ha capito dove vogliono arrivare e con loro c’è un’intesa di massima. Ognuno per la sua strada senza incontrarsi mai. Strade parallele come i binari irregolari della ferrovia che forse un giorno partirà.

La povertà si sente a suo agio anche a Niamey. Si limita ad osservare quello che accade ogni mattina con centinaia di bambini mendicanti ormai suoi complici. Tra le strade del centro come quella della periferia conosce i suoi clienti per nome e per professione. Sorride di nascosto quando le scuole sono chiuse perché nessuno paga i maestri. Osserva da lontano l’Ospedale Nazionale che organizza i decessi di chi non può pagare le cure. Si infiltra all’università dove tra la moschea, le classi, gli anfiteatri e gli orari, gli studenti non sanno a che docente votarsi. Sanno bene che alla fine del ciclo lei li aspetta per consolarli. La povertà è la fedele compagna quotidiana degli abitanti della capitale. Si contenta di poco. Una pioggia in ritardo, gli scarichi delle fognature, l’acqua potabile inesistente, e finalmente le misure di contrasto alla povertà e vulnerabilità. Quando il sistema programma e pianifica gli aiuti lei sa che ha un bell’avvenire davanti.

E’ ormai parte del paesaggio.

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