Quanto ha influito il ponte di inizio giugno sull’astensione? Un’idea può darcela il comportamento della platea televisiva, perché nel campione Auditel chi ha il baracchino dove segna le sue presenze davanti alla tv non può certo portarselo appresso nella seconda casa, o al campeggio. E, per quanti ne mancano nella platea tv, altrettanti ne saranno di certo mancati al seggio dove abitualmente risiedono.
A farla breve, sembra che il ponte lungo abbia portato via da casa il 10% degli italiani, guarda caso la stessa percentuale, più o meno, di cui è cresciuta l’astensione. Ma al di sotto di questa elegante simmetria sono accadute cose molto diverse fra regione e regione.

L’unica dove gli astenuti sono cresciuti come i vacanzieri (11%) è la Toscana. Altre regioni raccontano storie diverse. In Liguria, sarà che il mare ce l’hanno in casa e che durante i ponti più che andarsene molti lavorano a ricevere il turismo, la platea tv ha subito una diminuzione minima (-1,12%) mentre l’astensione è cresciuta dieci volte tanto. Ne deduciamo che il non-voto non l’hanno provocato le vacanze, ma la precisa intenzione di non appoggiare nessuna delle candidature in campo. E, visto l’esito, saremmo tentati di dedurne che una parte del tradizionale voto post-rosso si sia politicamente diviso fra la scelta scissionista, votando, e quella attendista, rimanendosene a casa o sulla spiaggia.

In Veneto e Puglia il restringimento della platea tv (-6,7%) si avvicina alla metà di quella dei votanti (anche lì attorno al -11%). Dunque solo metà della crescita dell’astensione potrebbe spiegarsi con l’effetto delle vacanze, mentre la restante metà potrebbe essere stata determinata dall’effetto ligure in salsa pugliese (una spaccatura che in parte si rifugia nell’astensione) provocato dalla scissione di Fitto e dei suoi.
Nelle Marche, in Umbria (17%) e in Campania (14%) la percentuale di quelli che se ne sono andati in vacanza è notevolmente più elevata rispetto a quella di cui sono cresciuti gli astenuti. Dal che deduciamo che fra chi è rimasto a casa la motivazione ad andare a votare sia stata molto elevata, tanto da compensare molti dei vuoti provocati dai vacanzieri. Segno, a fil di logica, di un elettorato molto attento alla politica locale che tuttavia convive, da separati in casa, con cittadini che dalla politica si sentono sideralmente lontani.

Ultima notazione: agli estremi della scala dell’istruzione, che riproduce ovviamente anche la stratificazione socio economica perché studiare costa, i titolari della licenza di scuola elementare sono rimasti per lo più a casa, altro che vacanze, e di certo non hanno gonfiato l’astensione. Mentre i laureati, altra condizione economica, la platea televisiva si è ristretta della percentuale record del 21,7%. E di altrettanto, sospettiamo, l’astensione.

Resta da chiedersi perché le votazioni in Italia: A) durino così a lungo, visto che altrove i seggi chiudono alle 20, e la democrazia non ne risente (e meno male che si è smesso di ricorrere anche al prolungamento del lunedì mattina); B) perché si debba votare nei week end, danneggiando programmaticamente il turismo indigeno, anziché durante la settimana come avviene altrove per eleggere bazzecole come il presidente degli Usa o il premier d’Inghilterra.

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