La ciliegina sulla torta sarà la Defense Innovation Unit X: la nuova strategia del Pentagono per difendere gli Stati Uniti nel cyberspazio l’ha presentata una settimana fa Ashton Carter, ministro della Difesa USA, nel corso di una conferenza tenuta alla Stanford University.
Non l’ha twittata come farebbe un qualunque politico delle nostre parti, non l’ha mescolata a strofe di vecchie canzoni (non si è nemmeno lasciato scappare un “Lo scopriremo solo vivendo…”), non l’ha utilizzata come spunto per una imperdibile barzelletta.
A dispetto delle chiacchiere cui siamo abituati, Carter ha scandito i passi di un articolato progetto che coinvolge l’industria tecnologica americana in un lavoro di stretta collaborazione “pubblico-privato” per rendere Internet più sicuro e realizzare un efficace sistema per contrastare le minacce cibernetiche. Il Pentagono è pronto a sbarcare nella Silicon Valley e la “X” del realizzando centro di ricerca e sviluppo sta a significare “eXperimental”. Sarà la struttura di interfaccia tra il Dipartimento della Difesa e l’industria più avanzata.
“Questa unità – prima nel suo genere – sarà composta da una squadra di personale militare e civile in servizio attivo ma sarà rinforzata da persone chiave della «Riserva» (ovvero in congedo) dove risiedono alcuni dei nostri migliori talenti tecnici. Sarà questo team a rafforzare le relazioni esistenti e a crearne di nuove con il mondo produttivo, contribuendo alla scoperta di soluzioni tecnologiche innovative e dirompenti. Toccherà a questa gente essere anche il punto di riferimento per le startup intenzionate ad aggiudicarsi contratti con il Pentagono”.
Il discorso di Carter – pieno di cose normali in un mondo normale – suona strano per noi italiani, troppo avvezzi ad appalti combinati, a forniture truffaldine, ad aggiudicazioni fraudolente, ad onerose lubrificazioni delle dinamiche di commessa… Eppure sarebbe bello, un giorno, ascoltare simili propositi in un Paese dove la lotta alla corruzione – anziché esser la prassi – è qualcosa di eroico o fenomenale.
Non è finita.
La Difesa a stelle e strisce ha anche pianificato la creazione di una nuova Forza Armata, il cosiddetto US Digital Service, con l’obiettivo di supportare i reparti militari e gli enti governativi nella ricerca di soluzioni tecniche e amministrative che garantiscano il dialogo (in termini di efficacia, efficienza e sicurezza) tra sistemi informatici realizzati e cresciuti nel tempo senza prevedere esigenze di condivisione delle risorse e dei dati. Il primo progetto su cui l’USDS sta già lavorando riguarda i dati sanitari e coinvolge più dicasteri coordinati dal Dipartimento per i “Veteran Affairs”.
Se lo sguardo al futuro può essere suggestivo, quel che conta sono i fatti e Carter non ha perso l’occasione per passare in rassegna quel che già è stato concretamente portato a termine.
La giurisdizione del Dipartimento della Difesa include le operazioni di contrasto non solo agli attacchi perpetrati in danno delle reti militari ma anche nei confronti di quelli sferrati al mondo imprenditoriale americano: l’obiettivo è quello di tutelare la sicurezza nazionale e gli interessi statunitensi nel cyberspazio. Qualcuno ha interpretato questo nuovo assetto come una sorta di invasione di campo in “territori” che in precedenza erano di stretta competenza del Dipartimento per la Homeland Security o del Federal Bureau of Investigation, ma in realtà si tratta di una integrazione delle attività con gli organi già impegnati sullo specifico fronte con lo scopo di assicurare la massima efficacia anche nelle ipotesi meno favorevoli.
Entro il 2018 ci saranno 133 “Cyber Mission Force”, all’interno delle quali 13 avranno compito di tutelare gli interessi nazionali e 68 quello di garantire la difesa dei network del Pentagono. Non mancheranno in questo futuribile schieramento 27 “Combat Mission Team” cui toccheranno le azioni offensive nei riguardi dei possibili avversari.
E da noi cosa succede? si chiederà legittimamente qualcuno. Poco, o forse nulla. Come le stelle di Cronin, politici e strateghi nostrani “stanno a guardare”. E, forse, non fanno nemmeno quello.
@Umberto_Rapetto
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