Una marcia e un flashmob a Parigi, un’assemblea partecipativa a Londra, una catena umana a Berlino che unirà le ambasciate di Usa e Canada con la rappresentanza della Commissione Europea. E naturalmente tanti eventi anche in Italia, nelle maggiori città ma anche nei piccoli centri. Sono solo alcune delle centinaia di iniziative che in tutto il mondo sabato 18 aprile vedono scendere in piazza attivisti e cittadini, organizzazioni e società civile in quello che è stato denominato “Global Day of Action”, in italiano “Giornata Mondiale di Mobilitazione”. Nel mirino ci sono trattati di libero scambio attualmente in discussione sulle sponde dell’Atlantico: il Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti che vede protagonisti l’Unione Europea e gli Stati Uniti; il Ceta, l’Accordo economico e commerciale globale che invece coinvolge Ue e Canada, e il Tisa, l’Accordo di scambio sui servizi che riguarda 22 Paesi oltre l’Unione Europea (che ne rappresenta altri 28) e gli Usa. Se il Ceta è già arrivato alla fine delle negoziazioni ed è in attesa di essere ratificato dal Consiglio dell’Unione Europea e dal Parlamento Europeo, il Tisa e il Ttip sono giunti rispettivamente al dodicesimo round, tenutosi a Ginevra questa settimana, e al nono round, che si terrà invece la prossima a New York.

Il primo, con la presidenza di turno dell’Unione Europea, ha affrontato i temi della liberalizzazione dei servizi finanziari, delle telecomunicazioni, della regulation domestica, del trasporto marittimo e della movimentazione delle “persone fisiche in qualità di fornitori di servizi”, cioè i professionisti indipendenti. Le trattative sul Tisa procedono spedite e la base delle nazioni che intendono partecipare a tale accordo continua a crescere: ultimo entrato è l’Uruguay, ma rumors indicano come potenziali entranti dai prossimi round sia Mauritius che soprattutto la Cina. Più tortuosa invece la strada del Ttip. La possibilità che entro l’anno non si arrivi all’approvazione del trattato si fa sempre maggiore e anche per questo il presidente Usa Barack Obama, che vorrebbe chiudere non solo il trattato con la Ue ma anche il Tpp, il trattato gemello trans-pacifico, entro la scadenza del suo mandato presidenziale, si è fatto investire dal Congresso di poteri speciali per agevolare la chiusura degli accordi. Il dissenso è localizzato a grandissima maggioranza nel Vecchio Continente, e i più attivi nelle proteste sono coloro che vedono nella smobilitazione doganale una minaccia alla rigida architettura normativa che ha finora tutelato il consumatore europeo nei confronti delle aziende. Il tam tam mediatico, che ha accompagnato nell’ultimo anno il Ttip e che ha in parte portato a scardinare la mancanza di trasparenza (così come non accaduto invece per il Tisa, per il quale il commissario europeo al commercio Cecilia Malmström ha chiesto la pubblicazione del mandato dell’accordo), ha alimentato una nuova sensibilità rispetto all’inizio delle trattative anche a livello politico.

Lo spauracchio, per esempio, ha preso le forme del pollo al cloro, che con il trattato potrebbe fare il suo ingresso nel mercato continentale. E per questo la commissione Envi (ambiente, sanità e sicurezza alimentare) del Parlamento Europeo ha chiesto di escludere dai negoziati i servizi sanitari, la normativa sulle sostanze chimiche, la clonazione, gli Ogm e la carne agli ormoni. Anche se l’esecutivo, al momento, non avrebbe intenzione di seguire tali indicazioni e il Parlamento avrà a disposizione solo la plenaria, al momento prevista per giugno, per approvare o bocciare l’intero pacchetto una volta che le trattative si siano concluse. Di contro Bruxelles intende sfondare la tradizionale chiusura americana negli appalti pubblici, per quanto riguarda ad esempio trasporti e infrastrutture. Un matrimonio di interesse tra le multinazionali dei due continenti che, al netto della crescita stimata di entrambe le economie, rischia però di assestare duri colpi ai poteri delle istituzioni. Sono due i punti più problematici, e non solo per la piazza, ma anche per i negoziatori. Il primo riguarda l’Investor-state dispute settlement (Isds), un arbitrato internazionale per le controversie tra Stati e aziende che potrebbe portare, come già in passato in altri casi, alla citazione in giudizio di Paesi e governi da parte delle multinazionali. Su questo aspetto la commissione Juri (giuridica) ha negli ultimi giorni espresso parere contrario, così come la commissione Peti (per le petizioni). Il secondo aspetto, al centro del prossimo round negoziale, concerne invece la “regulatory cooperation”, vale a dire la possibilità concessa all’altra parte di esprimere un parere, seppur non vincolante, rispetto all’introduzione di nuove normative di qua o di là dall’Atlantico. L’obiettivo è la creazione di un organismo congiunto (il “Regulatory Cooperation Body”) che vigili e proponga una sempre maggiore armonizzazione normativa. Al momento i negoziatori hanno identificato nove settori su cui lavorare per permettere tale cooperazione regolatoria. Si tratta, tra gli altri, di auto, farmaci, attrezzature medicali, cosmetici, pesticidi. Mentre ne resterebbero fuori questioni ancora più delicate come la sicurezza sociale o i diritti dei lavoratori.

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