Quando un ministro lancia una provocazione, puntando il dito contro un male diffuso, una stortura, qualcosa che non va, dovrebbe essere abbastanza accorto da individuare, oltre al problema, anche la sua possibile terapia. L’esternazione del ministro Poletti sulle vacanze estive, invece, mette sul piatto della discussione pubblica una questione insieme drammatica e arcinota senza però prospettare alcuna soluzione concreta. Anzi, indicando una vaga alternativa, la formazione professionale, che rischia di portare solo sfruttamento delle forze giovanili.

Tre mesi di vacanze l’estate: qualsiasi genitore, che abbia figli di qualsiasi età, sa che sono troppe. Un tempo lunghissimo, infinito, che crea problemi enormi a qualsiasi organizzazione familiare. Dato che i genitori al massimo hanno venti giorni di ferie, è evidente che in ciascuna famiglia si ponga ogni anno la questione di come organizzare il tempo rimanente. Per molti è un fatto abbastanza tragico, perché i campi estivi costano davvero parecchi soldi – almeno cento euro a settimana – ma far restare un bambino in città senza impiegarlo in qualcosa di utile e divertente per le madri e i padri è sempre fonte di ansia e sensi di colpa.

La soluzione di questo enorme problema sarebbe la possibilità per i giovani di andare a raccogliere un mese l’anno la frutta d’estate? Non scherziamo. Non perché un’esperienza del genere non possa essere utile a dei ragazzi troppo viziati e svogliati. Il punto è un altro. Una provocazione di questo tipo può arrivare da un imprenditore, un rappresentante della società civile, un cantante, un attore, che so. Ma non da un ministro. Perché se sei un ministro ti devi porre il problema delle carenze strutturali della scuola pubblica in Italia. E la prima carenza sta proprio nel rapporto tra le ore di studio e le ore di attività alternative. All’estero si passa molto più tempo a scuola, e non perché si studi di più, ma perché le scuole sono organizzate per restare aperte fino alle sei di sera, asili compresi. A scuola si organizzano a prezzi irrisori attività di ogni tipo, dalla musica alla cucina, dalle lingue straniere al teatro, in maniera sistematica. E lo stesso vale per l’estate: in Francia, ad esempio, le scuole restano aperte appunto per consentire ai bambini piccoli e ai ragazzi di non restare a spasso, sempre a costi minimi.

È questo il grande problema della scuola italiana: la scarsità di attività post scolastiche, durante l’anno come d’estate, perché se è un problema avere un bambino che finisce la scuola a giugno e reinizia a settembre lo è anche un bambino o ragazzo che esce all’ora di pranzo durante l’anno. È su questo aspetto che bisognerebbe cambiare passo, è su questo punto che occorrerebbe cominciare a investire massicciamente, per non far sentire le famiglie meno sole e abbandonate per troppe ore, che siano d’inverno o d’estate. Non sviamo allora la discussione su altro, non facciamo passare un mese di formazione – gratuita? tutelata come? – come la soluzione di una questione ben più ampia che dovrebbe, quella sì, essere all’ordine del giorno sempre. Perché aprire le scuole il pomeriggio e d’estate significa diminuire la dispersione scolastica, la depressione giovanile, la violenza, come tanti esperimenti fatti in altri paesi, come ad esempio in Danimarca, hanno ormai da anni dimostrato. Mentre noi stiamo qui a interrogarci su una non chiara ipotesi di “formazione giovanile” estiva.

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