Ho dedicato diversi anni di studi e di battaglie sul campo a supporto degli operatori di call center “in appalto” (o esternalizzati), e sin dalle prime esperienze ho potuto cogliere ciò che si potrebbe definire un vero e proprio fenomeno patologico della cosiddetta new economy. Masse di lavoratori assunti da società di outsourcing (reclutamento esterno) che lavorano su commessa in favore di svariate realtà produttive, fra cui primeggiano le telecomunicazioni.

Fin quando la grande azienda mantiene l’appalto, i lavoratori dell’appaltatore godono di una certa stabilità lavorativa. Se per qualsiasi motivo i presupposti economici e contrattuali della commessa vengono meno – il committente decide di trasferire la commessa ad un’altra società con un costo del lavoro inferiore oppure di delocalizzare all’estero – per gli operatori sono guai seri, perché chi li ha assunti non è generalmente in grado di continuare a pagare gli stipendi. Non ha dunque alcuna importanza quali siano i motivi che fanno venir meno il contratto di appalto, visto che rientra nella piena libertà di chi lo ha stipulato metterlo in discussione, talvolta anche prima della scadenza inizialmente concordata. Nella maggior parte dei casi lo scopo del paventato ritiro della commessa è quello di giocare al ribasso del costo del lavoro, ossia di spingere i lavoratori a raggiungere accordi che prevedono un ridimensionamento dei trattamenti economici e normativi sino a quel momento maturati. Non è mica finita qui, perchè le condizioni per ulteriori rinegoziazioni potrebbero riproporsi anche nell’arco di breve tempo, sempre con la medesima strategia. Ed è così che un contratto di lavoro formalmente a tempo indeterminato si trasforma, nei fatti, in un contratto di lavoro costantemente precario.

Riguardo ai lavoratori della società di outsourcing Almaviva Contact (nel mio libro dedico ampio spazio all’analisi del settore dei call center con dei riferimenti al caso “Almaviva”), 1700 operatori rischiano di perdere il posto del lavoro a causa del mancato rinnovo della commessa Wind. Le OO.SS. evidenziano che le condizioni poste dal committente vanno nella direzione di una ennesima contrazione dei salari. La partita, dunque, pare si stia giocando anche in questo caso sul piano del costo del lavoro. Quanto sono disposti a cedere i lavoratori pur di non perdere il posto?

Attenzione, oggi si discute della commessa Wind, ma nel mondo Almaviva esistono altri lavoratori che vivono “su commessa”, e lo stesso ragionamento può essere esteso all’enorme bacino di operatori assunti nelle tante società che affollano il mercato dei call center esternalizzati.

Cosa possono fare i lavoratori per tutelarsi dal “ricatto occupazionale” dell’outsourcing?

Anzitutto è necessario chiarire che i registi di questa serie di film drammatici sono i committenti, i quali pongono le condizioni per la concessione della commessa, dando luogo ad una competizione fra outsourcers che finisce per gravare sulle tasche dei lavoratori. Si verifica in tal modo la situazione paradossale che vede un soggetto economico, il committente, diventare nei fatti la controparte dei dipendenti dell’appaltatore, ai quali le attuali leggi non forniscono adeguate forme di tutela.

Nei miei studi ho affrontato il tema dell’origine di un simile sbilanciamento di poteri fra i committenti da un lato, e l’outsourcer e i suoi lavoratori dall’altro.

La risposta credo risieda nel tipo di imprenditorialità che qualifica le attività di call center affidate ad operatori esterni. Si tratta di servizi caratterizzati da un prevalente apporto di prestazioni di lavoro, ecco perchè la competizione ruota attorno alla compressione dei salari. Ciò spiega anche l’enorme facilità con cui i registi riescono a spostare le lavorazioni da una città all’altra, oppure da una società di outsourcing all’altra. Questo è possibile se la struttura tecnologica che consente di collegare l’assistenza alla clientela alla prestazione dell’operatore del call center viene gestita in modo centralizzato e standardizzato dal committente, il quale per evitare eventuali disservizi – causati per esempio da scioperi degli esternalizzati – ben potrebbe mantenere più presidi, talora anche tramite suoi diretti dipendenti.

In attesa di interventi normativi adeguati – ho elaborato alcune proposte che avrebbero un effetto immediato sulla stabilità dei posti di lavoro e del mercato di riferimento l’unica via possibile per una “reale” stabilità lavorativa è quella legale, con l’obiettivo di ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato con la società committente che, a conti fatti, è la “padrona” del destino lavorativo degli operatori assunti dall’outsourcer. La principale legislazione cui fare riferimento è quella relativa al divieto di appalto di manodopera: qualora in sede di giudizio i lavoratori riescano a dimostrare che sia il committente a vestire i panni dell’effettivo datore di lavoro, ossia che sia esso stesso ad esercitare il potere di direzione e di controllo sulle prestazioni di lavoro”in appalto” (riducendo il ruolo dell’appaltatore a quello di mero intermediario), il giudice potrebbe condannarlo ad assumere i ricorrenti come propri dipendenti. Tale strategia difensiva potrebbe inoltre aumentare, in via preliminare, il potere di contrattazione dei lavoratori in fase di rinnovo della commessa. Il committente che rischia di dovere assumere centinaia di operatori è probabilmente più disposto ad ascoltare le istanze dei lavoratori.

Chiaramente la problematica del complesso mondo dei call center non si riduce a questo (ne ho discusso in occasione di un’audizione parlamentare) ma, ripeto, in assenza di una seria politica legislativa non vi sono altre strade per risolvere a monte la vertenza.

Un’alternativa, comunque non risolutiva poiché sempre nell’ottica del lavoro su commessa, potrebbe essere quella di esercitare costanti pressioni politiche e mediatiche affinchè venga mantenuta la commessa seppur con qualche rinuncia tutto sommato accettabile. Un risultato simile è stato raggiunto dai lavoratori (ex) Accenture Outsourcing su commessa Bt, che hanno lottato diversi mesi per mantenere il posto di lavoro.

Il mercato dei call center funziona così, le leggi lo consentono (tranne che non si dimostri in giudizio la violazione di determinati diritti), e non è certo con il ricorso alla magistratura che si può porre fine a questo eccessivo e generalizzato sbilanciamento di poteri fra capitale e lavoro.

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