Non disturbare il manovratore. Non se si tratta di Matteo Renzi, in procinto di riformare la televisione pubblica a colpi di decreto. Nei giorni degli annunci del premier sul futuro della Rai, nelle ore concitate della Opa lanciata da Mediaset su Rai Way, a restare bloccati al palo sono i diritti di centinaia di programmisti, registi, scenografi, tecnici, impiegati, montatori e operatori della televisione pubblica. Maturato il diritto a un contratto a tempo indeterminato, attendono da anni il momento dell’assunzione. Tutto in base ad accordi con l’azienda siglati a partire dal 2008, quando le leggi sul lavoro non erano ancora state riviste dal ministro Fornero e al rottamatore dell’articolo 18 non pensava nessuno. Per molti di loro era quasi fatta, ma l’imminente entrata in vigore del Jobs Act cambia tutto. E se il diritto all’assunzione rimane, sfumano per sempre le tutele che la riforma cancella, prima fra tutte il reintegro per licenziamento ingiustificato. Anticipare le stabilizzazioni per tutelare i lavoratori come hanno chiesto i sindacati in questi mesi? Non se ne parla. La Rai ha già fatto sapere che applicherà la nuova legge, ormai a poche ore dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. E che comunque “tenderà ad uniformarsi alle indicazioni di Confindustria”.

Parliamo di mille lavoratori, alcuni in Rai da molti anni. La prospettiva di uscire dal precariato è la legge Damiano del 2007: dopo trentasei mesi a tempo determinato si matura il diritto a quello indeterminato. Nel 2008 il primo accordo tra Rai e sindacati. Segue quello del 2011 e l’ultimo del 2013, per aggiornare il bacino degli aventi diritto e calendarizzare la loro stabilizzazione compatibilmente alle esigenze dell’azienda. Oggi sono 650 i lavoratori Rai che hanno già diritto a un contratto a tempo indeterminato. Un centinaio, così era previsto da tempo, sarebbe stato assunto a marzo. Così, mentre a dicembre il Jobs Act veniva discusso dal Parlamento, le rappresentanze chiedevano alla Rai garanzie, “che cautelassero chi già aveva maturato il diritto all’assunzione” da una legge con meno tutele e ormai in dirittura d’arrivo. Ma la Rai non ha risposto ai lavoratori. Il governo ha emanato i decreti attuativi in Consiglio dei ministri lo scorso 20 febbraio e tra poche ore il Jobs Act sarà legge. Una “doccia fredda”, la definisce chi quel diritto al tempo indeterminato ce l’ha in mano già da due o addirittura tre anni. “Qualcuno i 36 mesi previsti dalla legge Damiano li ha quasi doppiati”, ragionano gli interessati alla sede Rai di Milano, “tanto da aver maturato anche scatti di categoria”. E accusa: “Il futuro che ci eravamo già guadagnati torna ad assumere i tratti della precarietà”.

C’è chi gli anni di precariato li conta, sempre al servizio del servizio pubblico. In alcuni casi si superano i quindici: una vita. Il contratto a tutele crescenti che si materializza nel futuro di questi lavoratori spaventa. “Mi potranno cacciare?”, chiede un collega della sede Rai di Milano a Mauro Zorzan, rsu Slc Cgil, dopo che la banca ha preteso più tempo per valutare un mutuo alla luce di una assunzione che virava verso la riforma di Renzi. “Abbiamo chiesto di non vanificare i diritti di coloro che sono già inseriti nel bacino della legge Damiano – spiega Zorzan, con riferimento a una nota del sindacato del dicembre scorso – Quando gli accordi tra le parti erano stati sottoscritti si era in presenza di un quadro normativo di piena tutela. Riteniamo doveroso che la Rai, dopo tanti anni di disponibilità di questi lavoratori, provveda alla loro assunzione a tempo indeterminato prima della entrata in vigore dei decreti attuativi del Jobs Act”. Un appello analogo a quello di altre sigle sindacali che oggi la Rai lascia cadere definitivamente. E se Renzi parla di una riforma della tv pubblica “non più rinviabile”, l’azienda prende tempo mentre le tutele dei suoi dipendenti evaporano al sorgere della riforma.

“Se il direttore generale della Rai accettasse di anticipare i tempi delle assunzioni previste per riconoscere oggi le tutele che il Jobs Act cancellerà domani, questa decisione avrebbe un peso politico”. È l’amara verità, nelle parole di Alessio De Luca, Slc Cgil nazionale. Che l’ipotesi di dispiacere al premier non sia praticabile è emerso dall’incontro di mercoledì 25 febbraio tra la controllata Rai Pubblicità e i sindacati, alla presenza della direzione generale del personale Rai. “Il Responsabile delle Relazioni sindacali ha evidenziato quanto un atto (politico) difforme, da parte della società di servizio pubblico, a quanto predisposto dal Governo nella riforma del lavoro sia difficilmente percorribile”, riferisce De Luca in un comunicato. L’incontro vero e proprio con la casa madre è fissato per il prossimo 2 marzo. Ma quanto dichiarato, dicono i sindacati, è già indicativo dell’orientamento dell’azienda. “Rimane il percorso della contrattazione, col quale chiederemo di inserire maggiori tutele che controbilancino quelle cancellate dalla riforma. Ma certamente per i lavoratori non sarà lo stesso. Poi – chiude De Luca – non è escluso che chi si sentirà danneggiato da questa storia possa ricorrere ai tribunali”. Per rivendicare diritti maturi, tanto maturi da vederli scadere.

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