(Foto © Leonello Bertolucci)

 

Le persone non fanno i viaggi,
sono i viaggi che fanno le persone.
(John Steinbeck)

Quando lo dico, qualcuno mi dà del matto e altri, più diplomaticamente, esclamano che mai, loro, potrebbero concepirlo.
Quello che sostengo è la “assurda” decisione di affrontare un viaggio, anche il più agognato e irripetibile – e direi soprattutto quello – senza riprendere, catturare, documentare, strappare ed estrapolare alcunché. Intendo senza fotografare nulla, neanche con lo smartphone che dalla tasca bisbiglia: “E dai, usami!”.

Il discorso non è rivolto ai comuni turisti che vedono i luoghi visitati in differita – tutti un po’ “giapponesi” – solo una volta rientrati a casa, attraverso le foto fatte spesso a scapito di un vissuto “qui e ora”.
Quelli che strabuzzano gli occhi non sono coloro che considerano la fotografia come souvenir o prova provata e certificazione pubblica di essere stati a Timbuktu, ma gli addetti ai lavori, o quantomeno persone che alla fotografia annettono ragioni più complesse e più profonde.
Per chi è e si sente fotografo, fotografare – come asseriva Henri Cartier-Bresson – è un modo di vivere; dunque se vivere e fotografare sono inscindibili e si alimentano a vicenda, il tentativo di separarli appare eretico.

Per molti fotografi è insopportabile l’idea di vedere una possibile grande foto ma non poterla catturare. La frustrazione della “preda fuggita”, ed è molto comprensibile.
Qui la domanda è: parto per un viaggio, ma parto da fotografo o da viaggiatore?
Se la motivazione stessa del mio andare coincide con un progetto di narrazione e/o documentazione fotografica, è fuori discussione che il mio scopo sarà cercare tessere di un mosaico, pagine di un libro, pezzi di vetro di un caleidoscopio. Gli occhi saranno come radar e tutte le mie facoltà percettive verranno proiettate e focalizzate sulla mia ricerca. Meraviglioso modo di approfondire e sentire, di vedere e di vedersi, di rivendicare la propria visione sul mondo e sulle cose.

Ma se un progetto, un’idea, una motivazione forte non ci sono? Anche in questo caso è molto appagante e piacevole aggirasi in cerca di momenti, decisivi o meno che siano, esercitando le proprie facoltà acuite dallo spiazzamento e dalla curiosità.
Resta però da capire, in questo caso, cosa ci perdiamo. Se non partiamo in veste di fotografi ma in quella di viaggiatori, dovremmo gioire di trarre dal viaggio più emozioni, sensazioni, stimoli e insegnamenti che fotografie. E’ un fatto: la macchina fotografica (e vale anche per strumenti cattura-immagini più agili, come gli smartphone) sposta le nostre energie mentali su un senso, la vista, e le sottrae agli altri.
La fotografia – ed è uno dei suoi limiti – spesso ci allontana dalla sinestesia piuttosto che avvicinarci.
Si può obbiettare che se una foto è una grande foto è capace di evocare anche suoni, odori, eccetera. Forse sì, ma è raro, ed è comunque un’evocazione appunto, non una presenza.

Insomma, io ho provato. E non è stato semplice né a cuor leggero prendere la decisione. Da fotografo quale sono, sempre e sempre di più appassionato e innamorato di questi pezzi di tempo prelevati dalla vita, sono partito per grandi viaggi lasciando a casa la fedele compagna di strada e di vita che a tracolla mi sta.
Risultato: ho rimosso quasi subito la mia presunta condizione di disertore e mi sono immerso anima e corpo nell’umanità, nei luoghi, nei suoni, nei profumi, in tutte quelle cose che fanno il viaggio stesso, e che in altre occasioni ho trascurato a favore della concentrazione necessaria per valutare una composizione, il tipo di luce, la scelta del momento, la tecnica.

E forse, dopo queste esperienze così “innaturali” per il mio essere fotografo, ho riscoperto il senso della fotografia in viaggio (che non è la fotografia di viaggio), spesso troppo ferma alla superficie di quello che ci attrae perché nuovo ed “esotico”.
Se e quanto è possibile la sintesi e la sovrapposizione del fotografo e del viaggiatore che abitano in noi, lo possiamo testare in un modo molto semplice da dire, molto difficile da affrontare: il nostro prossimo viaggio con la macchina fotografica facciamolo nel quartiere dove abitiamo.
Non è forse un mondo da esplorare e raccontare? Citando Proust, la questione non è trovare luoghi nuovi ma avere occhi nuovi.
E poi – non è una novità – ogni foto che facciamo è sempre, in qualche misura, un viaggio.
Un viaggio dentro di noi.

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