Doveva rimettere in sesto i conti della sanità regionale e fare del Lazio un esempio da seguire in Europa. E invece l’operazione San.Im, una delle prime cartolarizzazioni della sanità pubblica nel Vecchio continente, si è trasformata in un pesante fardello per i conti dell’ente guidato da Nicola Zingaretti. Lo evidenziano i numeri del 2012, registrati dall’Osservatorio sul debito della Regione Lazio, che mostrano come, sui 10,7 miliardi di passività dell’ente, 1 miliardo sia legato alla San.Im, società pubblica interamente controllata dall’ente. Non solo: l’azienda ha anche generato ben 83 milioni di oneri finanziari, somma che corrisponde alla quasi la totalità dell’omonima voce nel bilancio sanitario regionale.

Ma come è possibile, visto l’obiettivo con cui è nata, che San.Im si sia trasformata in un onere così pesante per i conti della Regione? Semplice: l’operazione era politicamente conveniente perché rimandava inevitabili tagli, ma non economicamente interessante, perché metteva un’ipoteca sui futuri bilanci della sanità laziale. La San.Im è stata infatti creata dalla Regione Lazio a metà del 2002, quando sulla poltrona di presidente sedeva Francesco Storace e il deficit della sanità regionale aveva superato la cifra stratosferica di 1,5 miliardi l’anno. Per correre ai ripari, evitando dolorosi tagli, Storace aveva pensato di affidarsi alla finanza speculativa. Attraverso la San.Im, la Regione ha infatti acquistato dalle Asl le mura di 56 ospedali per 1,94 miliardi. Il denaro necessario all’operazione è stato raccolto attraverso la cessione dei crediti trentennali degli affitti delle Asl a un’altra azienda pubblica, Cartesio, che ha emesso a sua volta obbligazioni garantite dai titoli ricevuti. Con tanto di derivato al seguito, prodotto da Unicredit, Bnl, JP Morgan Dexia Crediop. Un giro del fumo che ha permesso un maquillage dei conti delle Asl, ma che nel contempo ha fatto lievitare fino al 2023 i costi non sanitari della Regione Lazio, con oneri finanziari e commissioni bancarie che sfuggono ancora oggi ai tagli di Zingaretti.

La San.Im non è però l’unico centro di costo a essere fuori dal radar dell’attuale governatore del Lazio, dove operano dodici aziende sanitarie (Asl), sette strutture ospedaliere (San Camillo-Forlanini, San Giovanni-Addolorata, San Filippo Neri, Policlinico Umberto I, S. Andrea, Policlinico Tor Vergata, Ares 118) e due Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Ifo, Inmi-Spallanzani). Sul fronte della spesa sanitaria l’ente, insieme a Lombardia e Campania, è quello che mette a bilancio i costi più alti d’Italia, con uscite pro-capite 2012 superiori ai 2mila euro. E registra oltre 10 miliardi di ricavi. Ma non ha ancora fatto il lavoro di trasparenza richiesto alla Gestione sanitaria accentrata, che deve monitorare la spesa per singola Asl e fornire informazioni più dettagliate rispetto a quelle raccolte dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.

Un’analisi inedita e puntuale della situazione del sistema sanitario regionale e delle singole Asl però esiste. E’ stata condotta in autonomia da due ricercatori Istat, Monica Montella e Franco Mostacci, che hanno rilevato circa 4,3 miliardi di costi che potrebbero essere rimodulati evitando tagli dei servizi ai cittadini. Tre miliardi di euro, sui 4,3 complessivi, sono per affidamento di servizi sanitari a privati con contratti che cambiano notevolmente a seconda del committente. Per farsi un’idea delle diverse situazioni che si riscontrano nei conti della sanità laziale basti pensare che la sola Asl Roma E, quella che comprende la zona centro-nord della capitale, ha speso nel 2012 circa 525 milioni per strutture convenzionate. La Asl Roma G, che serve l’area Nord-Est oltre il grande raccordo, ha invece pagato 27 milioni esclusivamente per prestazioni di psichiatria residenziale e semiresidenziale.

Passando in rassegna, invece, la spesa non sanitaria, ci sono 885 milioni di spesa utilizzati per polizze assicurative, pulizia e altri servizi appaltati affidati in conto terzi. E anche qui ogni azienda ospedaliera costituisce un mondo a sé. Al Sant’Andrea si spendono per premi di assicurazione 5 milioni di euro, mentre al San-Giovanni-Addolorata soltanto 230mila euro perché, al pari del policlinico Umberto I e dell’Ifo, le strutture fanno a meno delle polizze per responsabilità civile professionale. Nell’Asl di Rieti gli “altri oneri di gestione”, che includono indennità e rimborsi spese per gli organi direttivi, hanno un’incidenza tre volte superiore alla media regionale con una spesa di 2 milioni di euro. All’ospedale San Filippo Neri le spese di pulizia sono quasi cinque volte superiori alla media laziale, mentre sui conti dell’Asl Roma B pesano le spese per i servizi non sanitari come vigilanza (2,8 milioni di euro), assistenza tecnico-programmatica (5 milioni), contratti multiservizio (8,8 milioni) e costi per appalti (1,9 milioni).

Uno scenario confuso che la centrale unica di monitoraggio avrebbe permesso di analizzare al meglio. Dando un dettaglio puntuale di quella spesa sanitaria che Zingaretti vuole far quadrare tagliando 400 primari su 1.123 e accorpando due Asl sulla base della spending review delineata dall’ex ministro Renato Balduzzi. Senza peraltro rinegoziare gli impegni della San.Im.

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