C’era un tempo in cui le etichette discografiche offrivano molto a un artista, sotto tutti i punti di vista. Oggi invece questa offerta, sia in termini economici che di opportunità, è mutata riducendosi ai minimi termini. Di conseguenza, chi intende far carriera in ambito musicale deve trovare strade alternative. Una percorribile  è rappresentata da Diysco, start up italiana che da un anno sta sviluppando un social network indipendente pensato appositamente per i musicisti e per i fan, interamente licenziato con Creative Commons. Il sito, online da pochi giorni, permette ai fan di accedere gratuitamente ai contenuti della piattaforma, di ascoltare musica, conoscere nuove band, scaricare gli album in Free Download, acquistare dischi e merchandising entrando in contatto con le band e condividere i contenuti con i propri contatti. Diysco è un modo semplice e totalmente gratuito per creare il banchetto online delle band e al suo interno, oltre alla componente social, c’è una sezione blog dedicata al panorama musicale nazionale e una Creative Commons Label, Diysco Records, che a partire dal 2015 finanzierà alcuni dei progetti artistici degli iscritti.

La start up è stata lanciata da giovani appassionati e non poteva essere altrimenti, considerata la crisi che il settore discografico attraversa da decenni: “A nostro avviso – racconta il fondatore di Diysco, Diego Aroldil’andamento dell’industria musicale non corrisponde necessariamente al fermento creativo dei musicisti. Nella maggior parte dei casi, chi suona non lo fa per assecondare un modello di business, ma perché è spinto dalla passione e a prescindere da qualsiasi considerazione di possibile vantaggio economico. È quindi importante prima di tutto distinguere il concetto di ‘industria’ da quello di ‘musica’ se si decide di mettere in pratica una qualsiasi idea realmente a favore dei musicisti e non a meri fini speculativi. Prima di intraprendere questo percorso creativo ci siamo chiesti quali fossero le lacune della proposta in ambito web, partendo da una prospettiva che non fosse necessariamente di intrattenimento di massa ma a servizio dei musicisti stessi. La missione è semplicemente quella di renderci utili”. 

Considerando che esistono già piattaforme come MySpace, quali sono le maggiori differenze con il vostro servizio?
Diysco ha carattere nazionale e non sarà perciò un contenitore worldwide in cui la band si sente continuamente decontestualizzata in un luogo talmente grande da non riuscire a valorizzare fino in fondo la sua presenza. Restringendo il raggio e ricercando attraverso la qualità di rivalutare ciò che di buono accade nelle piccole realtà, pensiamo si possa davvero contribuire alla costruzione di scene musicali locali sempre più consapevoli della propria importanza e meno penalizzate rispetto ai grandi centri. Per fare un esempio semplice e pratico basti pensare a come le tag cloud dei filtri di ricerca dei social network tendano naturalmente a ingigantire le parole chiave in base alla quantità di band presenti in una città: è evidente quindi che New York sarà parecchio più grande di Ogliastra in un qualsiasi tag cloud, ma non è detto che mentre tutti sono intenti a seguire cosa succede nella Grande Mela a Ogliastra non stiano crescendo artisticamente band ugualmente interessanti rispetto a tante band della scena newyorchese. Cerchiamo quindi di rendere un po’ più orizzontale, per quanto possibile, il primo passo dentro a un network musicale.

Credete che nel mare magnum della Rete un servizio come il vostro possa aiutare a fare emergere gli artisti?
Lo scopo della piattaforma non è quello di fare emergere: non è necessario dover emergere per valere come artisti. L’emersione è un concetto sopravvalutato, fomentato dai talent show. Secondo noi prima di tutto è importante favorire il diritto all’esistenza di un artista aiutando la micro-economia che gli permette di pagarsi le spese per poter suonare ed esprimersi nel miglior modo possibile. L’eventuale popolarità dipenderà da tanti fattori non governabili semplicemente da un social network.

Non pensate che la “quantità” uccide la “qualità”?
Difficile dirlo con certezza. Per ora, ci limitiamo a pensare che se tantissimi ragazzi provassero a suonare almeno uno strumento con impegno e passione, probabilmente ci sarebbero molti più musicisti validi nel futuro.

Qual è lo scopo principale che vi siete prefissati?
Lo scopo è quello di creare un modo originale di considerare il panorama musicale indipendente e di valorizzare la provenienza dei musicisti. Stimolare la ricerca, l’ascolto, la voglia di creare relazioni e spingere le persone ad ampliare maggiormente gli orizzonti dei propri ascolti. Ci piacerebbe che Diysco potesse rappresentare nel suo piccolo un tentativo di vedere in modo nuovo il concetto di etichetta discografica indipendente.

Qual è il vostro parere riguardo alla condizione musicale italiana?
Se consideriamo la musica indipendente esistono tantissime band davvero eccellenti sia per qualità musicale e per la cura della propria attività. Ci sono sempre più artisti di scene differenti che hanno riscoperto la stampa di dischi in vinile, che producono t-shirt con grafiche ricercate e originali, che si ingegnano relativamente al design del packaging del proprio album: il tutto sfocia spesso in una moderna forma di artigianato. Quando andiamo ai concerti ci troviamo di fronte a un sacco di proposte davvero creative e stimolanti ed è anche per questo che crediamo nel potenziale di un progetto come il nostro.

Quante band si sono iscritte fino ad ora?
Ad oggi siamo a 70, tra le quali spiccano parecchie band di veterani della scena italiana che ci danno una iniezione di fiducia. Le band finora iscritte ci stanno supportando pazientemente in quella che almeno per le prime settimane è una specie di “test” generale sul corretto funzionamento di tutte le componenti tecniche. Un processo piuttosto complesso nel quale molte persone ci stanno aiutando, giorno dopo giorno, scrivendoci feedback e segnalandoci bug che purtroppo sono immancabili.

Quanto è difficile per un giovane artista diventare “professionista”?
Da uno a dieci sicuramente dieci. Più che altro tanti buoni artisti si approcciano alla musica in modo super-professionale ma non sempre riuscendo a raccogliere del tutto il frutto del proprio lavoro. Questo perché almeno in Italia mancano, soprattutto in certe zone, i luoghi in cui praticare la musica e molto più frequentemente manca la capacità della popolazione di tollerare i modi in cui la musica si propone. Senza citare nel dettaglio i singoli casi, sappiamo che durante l’estate parecchi festival indipendenti, nonostante affluenza alta di pubblico e risultati economici eccellenti, sono stati costretti a chiudere i battenti forzati da  amministrazioni comunali sempre più propense ad assecondare lamentele davvero prive di fondamento provenienti da parte della popolazione, che non è disposta a scendere a compromessi nemmeno due giorni all’anno con qualcosa diverso dal silenzio e dal vuoto di buona parte dei centri urbani. A causa di questo tipo di mentalità sta diventando difficile portare avanti i propri progetti legati alla musica. Compito dei media è evidenziare sempre di più al pubblico i limiti di questo di tipo di approccio gerontocratico nei confronti di tutto ciò che nei fatti serve a generare cultura e valorizzare la comunità.

RIVOLUZIONE YOUTUBER

di Andrea Amato e Matteo Maffucci 14€ Acquista
Articolo Precedente

Fiera di Francoforte: #unlibroèunlibro, l’Aie benedice gli ebook. Meglio tardi che mai

next
Articolo Successivo

Opera di Roma, per un Muti che va…

next