“Discuteremo del Jobs act in direzione e voteremo. Ma poi si fa tutti nello stesso modo”. A New York, davanti agli investitori americani, Matteo Renzi ostenta tranquillità e detta le regole del gioco. Ma se da oltreoceano tutto sembra più sereno, in patria la partita è appena cominciata. Il disegno di legge delega sul lavoro è arrivato in aula al Senato per la discussione: tra i provvedimenti anche quello che di fatto supera l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. “Io sono ottimista”, ha continuato il premier, “il Pd sceglierà di investire sul futuro”. E subito incassa la difesa dell’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne: “Sono convinto che Matteo Renzi ce la farà: dobbiamo aiutarlo. Il premier parla del futuro per la prima volta. Lo si lasci in pace e lavorare. L’Articolo 18? Sta creando disagi sociali e disuguaglianze. Non è giustizia“.

Chi ha fatto la sua mossa in vista di una trattativa a molte condizioni è la segretaria della Cgil Susanna Camusso: “Se si parla di allungare il periodo di prova”, ha detto, “sono per discutere dei tempi. Capisco che ci sia una stagione in cuil’articolo 18 non vale, ma è necessario che sia transitoria. Tre anni e sette anni non sono la stessa cosa. L’Articolo 18 non è un simbolo ma una tutela per le persone. Ho il ministro dell’Economia dire che riguarda qualche migliaio di lavoratori, in realtà ne riguarda qualche milione, e se le cause di lavoro sono poche significa che la norma funziona come deterrente”. Una semi apertura che ricorda una delle modifiche proposte al Senato dalla minoranza Pd, che cerca di mediare e non arrivare allo scontro.

Nel mare delle polemiche oggi è entrato anche Beppe Grillo. Con un articolo affidato al professore Aldo Giannuli, il Movimento 5 stelle ha criticato “la riforma infame”. E soprattutto si è appellato alla minoranza Pd: “E’ l’occasione per mandare a casa il presidente del Consiglio. E la minoranza Pd cosa fa? Sta a guardare? Sono diventati democristiani”. Per un attimo in Parlamento hanno sobbalzato: Grillo invoca l’alleanza con i democratici critici? “Follia”, hanno risposto i parlamentari grillini. Ma soprattutto la sinistra dem ha smentito, almeno davanti ai microfoni, di voler sparare sul governo Renzi. Così Rosi Bindi: “Grillo ci aiuti a fare una buona riforma del lavoro”. Ma anche Gianni Cuperlo e Roberto Speranza. Tutti schierati nello smentire ogni movimento interno. Pippo Civati invece ha lasciato da parte le diplomazie: “Se il premier insiste, la rottura sarà inevitabile. Se Renzi va fino in fondo, per noi si crea un problema importante, e non certo per corrispondere alle aspettative di Grillo. A me interessa la riforma del lavoro non che si faccia cadere il governo come sperano i grillini. Io poi non chiedo molto, vorrei solo che Renzi tornasse alle sue posizione di agosto: diceva la stesse cose che dico oggi io, dunque no a modifiche all’art. 18 e introdurre un sistema di tutele progressive. Era, oltretutto, la stessa posizione di Renzi alle primarie del Pd, lo ricordo bene”.

Intanto sono 689 gli emendamenti presentati al Ddl e quaranta in tutto gli ordini del giorno. La maggior parte degli emendamenti sono stati presentati da Sel (353) seguita da M5S (158). Fi e Lega hanno presentato entrambi 48 proposte di modifica. Il Pd, nel suo complesso, ha presentato 31 emendamenti, 9 sono a firma Sc. Ncd, così come annunciato, non ha presentato proposte di modifica. Il presidente Pd Matteo Orfini cerca di smorzare le polemiche, ma ribadisce la necessità che il dialogo passi dal Parlamento: “Un decreto del governo sul Jobs act sarebbe un errore. Stiamo discutendo, c’è ancora tempo”, da qui alla direzione del Pd, “per avvicinare le istanze per una soluzione ragionevole” sulla delega lavoro. “Non mi pare sia in atto un muro contro muro: la discussione è iniziata male ma stiamo cercando di riportarla sui binari giusti. Ci sono anche tre emendamenti trasversali al Senato che vanno in questa direzione”.

Il pensiero ora va alla direzione del Partito che si riunirà lunedì 29 settembre. Con l’avvicinarsi dell’appuntamento si sono intensificati i contatti tra le diverse anime del partito per arrivare a una mediazione. L’attesa è per il ritorno del premier Matteo Renzi dagli Stati Uniti ma qualche esponente dei “giovani turchi” ha assicurato che ci sono i primi segnali positivi dal governo e dal partito. I “Giovani turchi” hanno presentato al Senato tre emendamenti, a firma diFrancesco Verducci, con in calce le sottoscrizioni di parlamentari renziani e di Area dem, per provare a offrire una proposta di mediazione. Più problematica l’intesa agli occhi degli esponenti di Area riformista, che con le altre componenti della minoranza dem hanno firmato sette emendamenti e chiedono che non venga cancellato l’articolo 18 con reintegro.

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