Ragno”. “Vivo”. “Casa”. “Non viva”. “Vento”. “Non vivo”. “Cielo”. “Non vivo”. “Fiore”. “Vivo”. È cominciato come un gioco, ma ormai l’ho capito: nessun gioco con i bambini resta tale. O forse dovrei dire che i giochi sono divertenti, ma molto seri. Hanno quasi sempre un significato.

Ci siamo fermati sulla riva di un torrente e ho visto Luca che osservava il prato. Una distesa d’erba in montagna è come il mare: uguale e uniforme da lontano, se ci affondi lo sguardo si trasforma sotto i tuoi occhi in un mondo che non basta un pomeriggio a perlustrare. Prendi una lumaca, di quelle che noi adulti liquidiamo con uno sguardo, e i bambini cominciano a studiare le antenne. Le sfiorano – non ferirle deve essere un istinto – per vederle rientrare. Poi le mettono l’una accanto all’altra, improvvisando una corsa a chi arriva prima al filo d’erba. Infine confrontano i gusci: quelli scuri, più comuni, poi altri bianchi a strisce nere. Più rari, in breve assumono il valore di un piccolo purosangue. Minuscoli Varenne. Poi passano ai cervi volanti, ai grilli e ai loro miracolosi salti. Fino al mistero del formicaio che compare come un universo alieno nascosto sotto un sasso. “Ecco la regina, è lei che fa le uova, questi piccoli puntini bianchi. Poi ci sono le operaie”, dice mio marito improvvisandosi studioso. Infine si raggiunge il cimitero della formiche, dove i minuscoli insetti si rifugiano a morire quando sentono che la vita viene meno. E qui vedo Luca e Matteo farsi silenziosi. Perché non è vero che i bambini non sappiano cos’è la morte, che non la sentano.

Così, un po’ per caso e un po’ no, mi trovo a fare il gioco per distinguere che cosa è vivo. E di nuovo i figli mi sorprendono. Certo, Marco, che ha appena tre anni, a volte si confonde: il vento si muove, gli sembra vivo. Le nuvole anche. E sui fiori, gli alberi soprattutto, tentenna. Ma Luca e Matteo no, non hanno dubbi. Sanno distinguere immediatamente dove si cela la vita, non importa che la quercia abbia una corteccia che pare pietra. Giochiamo, finchémi trovo di fronte alla domanda cruciale: “Ma che cos’è la vita?”. Loro provano: “Il sangue, la linfa, il movimento”. Poi guardano in faccia mio marito aspettando la risposta giusta. Ma forse non bastano 45 anni per scoprirla.

Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 11 agosto 2014

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