Testa o croce. Vita o morte. Quando si ha a che fare con il fisco, serve a poco il calcolo delle probabilità, soprattutto se si riceve una lettera spedita dall’Agenzia delle Entrate. E la speranza di milioni di italiani si racchiude in poche righe iniziali che fanno la differenza. Si può, quindi, leggere: “Caro contribuente, lei vive al di sopra delle sue possibilità, almeno da quelle che emergono dalla dichiarazione dei redditi che ha presentato lo scorso anno. Ci spieghi come fa”. Oppure: “Caro contribuente, ci risulta che lei abbia versato più del dovuto. Se ci comunica i suoi dati bancari, le accrediteremo il credito sul conto corrente “.

Sono, infatti, oltre 200mila le missive che in queste settimane, rischiando di mandare di traverso le ferie a molti italiani, viaggiano di cassetta in casetta postale. Quelle più piacevoli hanno come oggetto il rimborso di chi, avendo magari presentato il modello 730 in mancanza di un sostituto d’imposta, è in attesa di ricevere le detrazioni per le spese del mutuo o per quelle mediche. Quelle, invece, meno tenere le ricevono i contribuenti per i quali è stata accertata un’irregolarità o delle spese anomale rispetto ai redditi del 2012.

In questo caso, le lettere possono – a loro volta – assumere due toni diversi: per circa 75mila contribuenti si tratta di una comunicazione, scrive chiaramente l’Agenzia delle Entrate, “a puro scopo informativo” con il chiaro consiglio di correggere l’Unico entro il prossimo 30 settembre, perché “dal confronto dei dati indicati con le informazioni presenti nelle banche dati dell’Agenzia delle Entrate, risultano alcune spese apparentemente incompatibili con i redditi dichiarati”. La missiva contiene anche un prospetto che indica quali sono le voci eccessive – tra cui abitazione, tempo libero, lusso e investimenti – come case, mutui, spese per ristrutturazioni e risparmio energetico, colf, canoni di locazioni, ma anche l’acquisto (leasing o noleggio) di auto, moto, opere d’arte, viaggi e l’iscrizione a circoli sportivi o centri benessere.

Lettere che non comportano l’obbligo di presentarsi o di rispondere all’Agenzia delle Entrate, ma solo il consiglio di ravvedersi, pagando un importo fisso di 32 euro, più una sanzione del 3,75% sulla maggiore imposta. Poi, solo in assenza di questo correttivo, il fisco potrà attivare il redditometro, vale a dire il “Grande fratello” che può allungare gli occhi sui dati bancari dei contribuenti chiedendo, questa volta, di giustificare la differenza tra entrate e uscite e facendo così scattare l’obbligo di risposta mostrando le prove.

È il rischio che corrono altri 25.000 italiani che hanno ricevuto un’altra lettera con cui il Fisco li obbliga proprio a chiarire la loro posizione sul reddito dichiarato nel 2009 (in Unico 2010), pena l’avvio dell’accertamento. Ma, in questo caso, se si ammette l’errore, si può procedere direttamente con il ravvedimento operoso.

Le attese di recupero di gettito sommerso, va detto, sono però piuttosto scarse. Non solo il numero delle verifiche basate sul rapporto tra reddito dichiarato e tenore di vita è stato tagliato da 30mila euro a poco meno di 20mila euro, ma soprattutto il redditometro si è trasformato in uno strumento depotenziato rispetto alla versione originale, dopo le modifiche richieste dal Garante della Privacy che ha ottenuto l’esclusione dal nuovo accertamento sintetico, sia in fase di selezione che di contraddittorio, delle spese correnti determinate solo con la media Istat (ad esempio alimentari e bevande, abbigliamento e calzature, alberghi e viaggi organizzati). Lo zoccolo duro dell’accertamento resta l’ampio ventaglio di informazioni che vanno dai conti deposito titoli alle gestioni patrimoniali, dalle carte di credito e/o bancomat ai certificati di deposito, oltre ai saldi iniziali e finali dei conti correnti.

Del resto se nel 2012 le famiglie italiane hanno speso oltre 960 miliardi di euro, ma al fisco ne sono stati dichiarati solo 800 miliardi, ben nascosti da qualche parte dovrebbero esserci circa 160 miliardi di euro.

Pallottoliere alla mano, dal conteggio delle 200mila lettere inviate, ne mancano all’appello 105mila. Si tratta delle più attese: quelle che chiedono al contribuente, per velocizzare l’erogazione del rimborsi, di comunicare il proprio Iban per ricevere le somme direttamente sul conto corrente. Detto che tra i destinatari ci sono coloro che hanno presentato il modello 730 in mancanza di un sostituto d’imposta tenuto a effettuare i conguagli (come, per esempio, chi ha perso il lavoro), cui si aggiungono circa 50mila società che hanno richiesto il rimborso dell’Ires, l’invito non spiega altro: né l’ammontare del credito, né la tempistica per farlo. Nel caso, quindi, in cui un contribuente non abbia un conto corrente (non essendo prevista l’obbligatorietà per legge) o dimenticasse di fornire i dati, cosa succede? Quanti mesi si dovrà aspettare per ottenere il credito?

Stesso dubbio che resta a tutti i contribuenti che non si sono visti accreditare sulla busta paga o sul rateo della pensione di luglio (o agosto) i crediti d’imposta superiore ai 4.000 euro. La legge di Stabilità 2014, infatti, ha previsto che da quest’anno l’Agenzia delle Entrate verifichi tutte le dichiarazioni in cui il rimborso, di importo superiore a 4mila euro, sia determinato anche da detrazioni per familiari a carico (e non da assegni per il coniuge separato) o da crediti riportati dalla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente. Si sa solo che il termine a disposizione per i controlli è di sei mesi. Gli italiani che avevano, quindi, fatto affidamento a questi soldi per andare in vacanza possono solo aspettare di ricevere una lettera del Fisco in cui avere maggiori chiarimenti.

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