La Siae nel 2013 ha raccolto quasi 100 milioni di euro (86,6 per la precisione) in meno di quelli che raccoglieva nel 2008 e oltre 30 milioni in meno di quelli raccolti, solo nel 2010. Un crollo verticale che la “congiuntura economica” alla quale si fa riferimento nella relazione al bilancio 2013, appena pubblicato sul sito della società, da sola non basta a spiegare. Specie se – ed a raccontarlo è lo stesso bilancio, il primo firmato dal Maestro Gino Paoli – per raccogliere meno di 523 milioni di euro si chiede ad autori ed editori di sostenere costi di produzione per oltre 183 milioni di euro.

“La raccolta per diritto d’autore – si è costretti ad annotare nella relazione al bilancio – ha registrato [nel 2013] un decremento di 13 milioni di euro. E’ vano lo sforzo – del quale pure occorre dare atto al management della Società Italiana autori ed editori – di sostenere che, lo scorso anno, i costi di produzione avevano sfondato la barriera dei 194 milioni di euro e che, dunque, le cose vanno meglio. Non ci si può, infatti, dimenticare che solo nel 2010 la Siae spendeva 189, 7 milioni di euro per raccogliere oltre 554 milioni di euro.

“Il bilancio al 31 dicembre 2013 (il primo da me sottoscritto) – scrive Gino Paoli – segna risultati che non posso non definire straordinari”. Guai a contraddire il Maestro ma, probabilmente, è una questione di punti di vista. La differenza tra il valore della produzione ed i costi di produzione – il migliore tra gli indici per giudicare lo stato di salute di una società – nel 2013, porta il segno negativo: – 27,3 milioni di euro. Nel 2010 – in un esercizio tanto burrascoso da aver portato alle dimissioni dell’allora Presidente Giorgio Assumma ed al Commissariamento della società – la differenza è stata pari, “solo”, a – 20,06 milioni di euro. Da un angolo di visuale di questo tipo è davvero difficile condividere l’impressione dell’attuale Presidente della Siae, Gino Paoli.

Ma il punto, a ben vedere, non è se le cose in Siae vadano meglio o peggio rispetto al passato. Il punto è che le cose non vanno come dovrebbero e che una società nata per garantire, peraltro in regime di sostanziale monopolio, la gestione dei diritti degli autori e degli editori, sta in piedi, a stento, su gambe d’argilla, costituite da entrate che non hanno nulla a che vedere con il diritto d’autore.

Se, infatti, il bilancio relativo all’esercizio 2013 si è chiuso con un risicato utile di poco più di un milione e mezzo di euro, il “merito” – se di merito si può parlare – va esclusivamente ai quasi 36 milioni di euro di proventi finanziari ricavati grazie alla lentezza con la quale la società ripartisce, tra autori ed editori, quanto a loro spettante e all’importo di analoga entità dei corrispettivi dei servizi della Siae eroga – al di fuori di qualsiasi procedura di gara – per l’Agenzia delle entrate e per l’Agenzia dei monopoli di Stato (oltre 28 milioni di euro dalla prima e oltre 3,5 milioni dalla seconda) oltre che per una serie di altri Enti. Senza gli oltre 70 milioni di euro incassati quale “società di servizi”, la Siae avrebbe chiuso il bilancio 2013 con un buco da decine di milioni di euro.

Sono numeri davanti ai quali non si può rimanere indifferenti e davanti ai quali le Istituzioni cui la legge affida il compito di vigilare sull’attività della Siae e, addirittura, di “approvarne” il bilancio – a cominciare dal Ministro dei Beni e delle attività culturali, Dario Franceschini – hanno l’obbligo di intervenire. Non si può continuare ad obbligare gli autori ed editori italiani a versare alla Siae oltre cento milioni di euro all’anno – tra provvigioni (quasi 90 milioni), quote sociali (oltre 13 milioni) e rimborsi costi di gestione del discusso equo compenso per copia privata (quasi 5 milioni di euro) per far sopravvivere un ente pubblico economico che versa in un’evidente condizione di inefficienza gestionale.

E’ lo Stato ad attribuire a Siae il privilegio – perché nell’attuale contesto di mercato unico europeo, di questo si tratta – di una sostanziale posizione di monopolio ed ad imporre ad autori ed editori italiani di rivolgersi a Siae per vedersi riconosciuti i loro sacrosanti diritti sull’utilizzazione delle loro opere. Tocca, dunque, allo Stato – ed a chi lo rappresenta, specie alla guida del Dicastero dei beni e delle attività culturali – fare tutto quanto in proprio potere per garantire che l’attività della Siae sia svolta in modo efficiente, economico e democratico.

Il bilancio d’esercizio 2013 – al pari, per la verità, dei precedenti – racconta in modo inequivocabile che, oggi, la Siae non è nulla di tutto ciò che dovrebbe essere. Il ministro Franceschini, dieci giorni fa, ha firmato il decreto sull’equo compenso, facendo proprie – quasi integralmente – le istanze della Siae e garantendo, a quest’ultima, dal prossimo anno, milioni di euro in più di incassi a titolo di “rimborsi costi di gestione” sugli oltre 150 milioni di euro che dovranno essere versati, ogni anno, dai cittadini italiani. Tocca a lui, ora, intervenire.

Non può voltarsi dall’altra parte e lasciare che un altro fiume di denaro, grazie proprio alla sua firma, venga letteralmente inghiottito nel buco nero dell’inefficienza della Siae. Domani, o forse prima, dalla Siae, replicheranno e ci ricorderanno che il bilancio 2013 è migliore rispetto a quello 2012 e, forse – come già si scrive con grande enfasi nella relazione di accompagnamento – che la Società è tra le più efficienti di Europa, almeno secondo i personalissimi conti dell’attuale management.

Guai a negare a chi è responsabile della gestione della società il diritto di dire la sua ma, sarebbe auspicabile, che, per una volta, si provasse a spiegare perché la Siae non funziona anziché raccontare che, in giro per l’Europa, forse, ci sono società che sono anche peggio. E, forse, sarebbe anche il caso che dalla Siae, oltre a replicare indispettiti a chi contraddice il loro modo di guardare le cose, si provasse a rispondere a quelle tre facili domande che, da queste stesse colonne, ho posto, ormai qualche giorno fa, al Direttore Generale in materia di equo compenso per copia privata.

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