Si può fare (Rai1): Israele. La Pista (Rai1): Colombia. L’eredità (Rai1): Argentina. The voice of Italy (Rai2): Olanda; Grande Fratello (Canale5): Olanda. Le Iene (Italia 1): Argentina. Vecchi Bastardi (Italia1): Belgio. X Factor (Sky): Inghilterra. Masterchef (Sky): Inghilterra. The Apprentice (Sky): America.

La lista sarebbe ancora lunga, ma può bastare. È l’elenco (molto parziale) di alcuni format esteri, col rispettivo paese d’origine, che sono stati adattati per le reti nostrane. A questo punto dovrebbe scattare la solita polemica sul fatto che importiamo tutto da fuori, che non produciamo abbastanza contenuti interni eccetera. Beh, spiace deludere qualcuno ma le cose non stanno affatto così. La percentuale di format esteri adattati in Italia è in linea, se non addirittura inferiore, con quella di altri paesi, televisivamente anche molto più evoluti. Per esempio, la BBC produce internamente meno della Rai. Così, giusto per dire. 

È assolutamente normale che una rete prenda dal mercato i prodotti più forti e interessanti in circolazione. Chi continua a predicare che bisogna riempire i palinsesti nazionali solo di prodotto nazionale non sa di cosa si sta parlando. Progettare un format efficace (un vero format intendo, che sia commercializzabile all’estero, non un “semplice” talk o programmi costruiti ad hoc su un conduttore, che non sono esportabili) è molto più complesso di quanto non si immagini. Il clamoroso e recente flop di Masterpiece (e non solo) dovrebbe insegnare qualcosa. Se una rete, o, peggio ancora un intero network, venisse costretta alla completa autarchia creativa fallirebbe nel giro di un anno: questo è garantito. D’altro canto nessuno pretende che in Italia circolino solo macchine italiane, che nelle case ci siano solo elettrodomestici italiani, o che si faccia uso solo di tecnologia italiana. Perché allora in televisione ci dovrebbero essere solo format italiani? 

C’è un’altra cosa che però va detta. Nei paesi mediaticamente più evoluti si importa molto prodotto da fuori, è vero, ma al contempo si realizzano internamente anche format che vengono poi venduti a terzi. Prendiamo ancora la BBC. Come tutte le reti serie del mondo va in giro per i mercati a comprare i programmi migliori su cui riesce a mettere la mani e nessuno trova niente di strano in questo. Al contempo però, attraverso la sua controllata BBC Worldwide, produce con grande efficienza programmi molto ben fatti, che piazza poi a sua volta in giro per il mondo, generando un bel po’ di profitti (guardare su loro sito per farsi un’idea). Insomma, meglio produrre pochi format ma buoni, che tanti ma tutti uguali o fatti alla carlona. 

In Italia, invece, non si fanno nemmeno quei pochi (le eccezioni si contano sulle dita di una mano). Perché? Le ragioni sono diverse, ma la principale è una e una sola: la maggior parte dei responsabili delle reti (non tutti, per carità, ma la maggior parte sì) non è abbastanza coraggiosa per puntare su prodotti davvero originali, né abbastanza preparata dal punto di vista tecnico per capire quali cose possono funzionare e quali no. Insomma, mentre nei paesi più avanzati si ricorre (anche in dosi massicce) ai format esteri quando e solo se si pensa che siano efficaci, e comunque non si rinuncia ai prodotti locali quando sono altrettanto ben fatti, qui da noi si ricorre ai format esteri essenzialmente perché sono più rassicuranti e comportano meno responsabilità decisionale. Per quanto riguarda i format originali, invece, o si decide di non prenderli affatto in considerazione, o non si è in grado di riconoscere i prodotti davvero efficaci e si punta di conseguenza su prodotti standard, poco innovativi o anche del tutto sbagliati, che fanno immancabilmente flop. 

Per carità, riconoscere un buon format solo sulla carta non è mica facile: serve mestiere, esperienza e perfino un po’ di talento. Chi ricopre incarichi importanti nei network televisivi in Italia manca spesso di tutte e tre queste caratteristiche. Tanto, in fin dei conti, si tratta solo di televisione, no?

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