Se per il premier Matteo Renzi le reti sono strategiche, allora perché spingere per la vendita di Rai Way, controllata Rai su cui passa il segnale che permette oggi alla televisione di entrare nelle case degli italiani? Tanto più che Rai Way, negli ultimi cinque anni, ha investito quasi 350 milioni di euro (ma il piano pluriennale di investimenti è di oltre 600 milioni) per passare dall’analogico al digitale, connettere con la fibra buona parte dei siti tecnici. E costruirsi così un futuro che potrebbe svilupparsi fino alla telefonia mobile e all’internet wireless seguendo un progetto che è già stato definito nelle linee guida all’interno di Rai Way.

Sono proprio i corposi investimenti a far sorgere il dubbio che il rischio di svendita, sulle orme di quanto accaduto in passato per Telecom Italia e alla sua rete, sia dietro l’angolo: secondo un report di Mediobanca, pubblicato a metà dello scorso anno, Rai Way valeva, infatti, circa 600 milioni, cioè una cifra pari alle spese recentemente sostenute dall’azienda per mettersi al passo con i tempi. Investimenti necessari per far crescere il fatturato (oggi 219 milioni con 11,8 milioni di utili) contando su 2.300 postazioni, dislocate su tutto il territorio nazionale.

Con queste premesse, la dismissione anche solo di una quota di Rai Way, nata dall’esigenza di far quadrare i conti della Rai, rischia di privare i cittadini della prospettiva di una rete wireless pubblica e la Rai di nuove possibilità di business in un momento in cui i media stanno completamente rivedendo i propri modelli operativi. “In assenza di un qualsiasi progetto di riorganizzazione, questo taglio improvviso di 150 milioni sembra non tanto il contributo “indispensabile” per coprire parte dell’operazione “80 euro” quanto il pretesto per dare il via proprio alla vendita del 49% di Rai Way ai privati” ha spiegato deputato M5stelle, Roberto Fico, presidente della Commissione di vigilanza Rai.

E fra i privati non mancano del resto i potenziali soggetti interessati ad entrare in gioco nel business delle torri di Rai Way. Ci sono, ad esempio, gli spagnoli di Abertis che hanno appena acquistato le torri telecom da Atlantia (Benetton) e hanno già una infrastruttura di proprietà simile in Spagna. Ei Towers (di cui Mediaset ha il 40%) nel pieno di una campagna acquisti per il consolidamento e la diversificazione che la vede in corsa anche per le torri di Telecom Italia. Ma anche le stesse società media da Sky a Mediaset arrivando fino a Cairo. Per non parlare dei fondi di private equity che investono in infrastrutture come il fondo F2i di Vito Gamberale, partecipato e socio della Cassa Depositi e Prestiti nell’avventura telecom di Metroweb, o la francese Ardian (ex Axa Private equity). Difficile dire chi sarà della partita. E non è escluso che potrebbero esserlo anche degli operatori di telefonia benchè la recente operazione di Telecom Italia Media con Rete A (gruppo De Benedetti) testimoni la volontà di tenere separate le attività della tv di quelle della telefonia.

Una cosa è certa: il business italiano delle torri è in pieno consolidamento, fenomeno in ritardo rispetto al resto d’Europa. Lo testimonia l’esperienza di altri Paesi vicini come la Francia dove TDF, il maggior operatore delle torri, unisce postazioni telecom, media e radio nazionali ad un portafoglio di attività straniere realizzando 1,3 miliardi di fatturato, più di 6 volte il giro d’affari di Rai Way. Un asset strategico in cui Parigi è presente con la banca pubblica di investimento Bpifrance (24%) affiancato dal fondo francese Ardian (18%). I numeri dei cugini d’Oltralpe indicando chiaramente che fusioni e acquisizioni sono dunque un fenomeno normale per il frammentato mercato italiano se non fosse per un piccolo dettaglio: in Francia ci sono alternative alla tv via etere come il cavo e l’IP tv via fibra e adsl, in Italia ancora no. Con il risultato che l’intera faccenda di Rai Way è legata a doppio filo con lo sviluppo della fibra che in Italia sembra focalizzato sulle aree del Paese a più elevata densità e redditività. E finché, quindi, la tv non potrà passare ovunque via internet, sarà necessario continuare ad usare le torri per la trasmissione del segnale digitale nelle zone più remote del Paese. Torri strategiche e moderne come quelle di Rai Way.

Articolo Precedente

Rai Way, quando la tv pubblica voleva offrire il wireless compreso nel canone

next
Articolo Successivo

Energia, direttiva Ue impone la rivoluzione verde. Italia in ritardo, rischio sanzioni

next