Ultimi dieci giorni per poter visitare la mostra “Fotogiornalismo e reportage” allestita a Palazzo Margherita fino al 25 maggio. Per la prima volta in assoluto, nella struttura di corso Canalgrande, un’accurata selezione di alcuni scatti degli archivi della Galleria di Modena viene mostrata al pubblico per un tracciare un racconto documentario e di testimonianza. Tra i grandi nomi presenti all’appello Weegee, forse uno dei più conosciuti fotoreporter di cronaca nera degli anni Trenta-Quaranta; lo sperimentale William Klein, che rappresentò una svolta nel fotogiornalismo per i suoi racconti “diaristici” e “dal basso” della gente di strada ma anche Henri Cartier-Bresson, Tim Gidal, Robert Capa, Werner Bischof, Caio Mario Garrubba, Mario De Biasi, Gianni Berengo Gardin e Ferdinando Scianna.

Tutti scatti che, oltre alla grande forza comunicativa, hanno alle spalle una propria e particolare storia. Come il ritratto di donna (tratto dalla serie Femme Algerienne) di Marc Garanger. Lui, soldato di leva dell’esercito francese durate la colonizzazione in Algeria negli anni Settanta, era stato chiamato a fare fotografie di documenti di identità di popolazioni di piccoli villaggi che erano state colonizzate dai francesi e rinchiuse nei campi controllati militarmente. Quello scatto, quindi, nato come l’inizio di un lungo processo di identificazione di migliaia e migliaia di persone, al termine del conflitto diventò uno strumento di denuncia silenziosa fatta di sguardi di donne, in particolare, che, proprio per queste identificazioni, furono costrette per la prima volta a mostrare il loro volto senza il velo.

Fra le immagini di indagine sociale, poi, c’è una piccola bacheca con ristampe di scatti originali di Adam Clark Vroman dove il fotografo racconta la vita quotidiana (usi, costumi, feste, riti religiosi) delle popolazioni indigene della zona di confine fra Messico e Stati Uniti d’America alla fine dell’Ottocento. Ancora, in mostra due scatti di Henri Cartier-Bresson, in Messico e Shanghai, e un ritratto di un’anziana donna scattato nelle Filippine nel 1976 che porta la firma di Gina Lollobrigida. Tre modi diversi di fotografare per raccontare popoli, usi e costumi.

Tra i personaggi che hanno fatto parte di questa nostra storia, di Mary Ellen Mark è quello di Madre Teresa di Calcutta, che la fotografa ha seguito in un lunghissimo reportage di testimonianza delle sue azioni umanitarie; mentre di Alf Kumalo, a Modena, si scopre qualche scatto di Nelson Mandela tra la gente oltre con a quello che ne immortala l’assoluzione al processo per alto tradimento.

Ritornando ai reportage, firmato dal reggiano Fabio Boni è quello nel deserto del Saharawi sull’orgoglio del popolo; mentre di Mauro Galligani, invece, sono gli scatti a colori che testimoniano due conflitti a Kabul e a Samarcanda. Del giovane Aldo Soligno sono esposti alcuni dei ritratti dei protagonisti della primavera araba; tra questi quello di Asma Al Ghoul, blogger della Striscia di Gaza, più volte arrestata e picchiata dalle forze speciali di Hamas. Ancora, di John Ross Baughman è l’interessante scatto “From Rhodesia Kihidou” dove il fotografo ha immortalato le torture inflitte dai soldati britannici ai prigionieri. Realizzata per l’agenzia Associated Press e presentata insieme ad altre alla giuria del Premio Robert Capa nel 1977, la fotografia venne esclusa perché considerata troppo cruda e poco credibile, una foto, cioè, preparata e organizzata a tavolino. Qualche mese dopo, Baughman proprio con questo scatto vinse il Premio Pulitzer e ricevette le scuse dalla giuria del Capa.

Un altro scatto con dei “retroscena” è quello di Romano Cagnoni. Lui è stato il primo fotografo a documentare la guerra civile nigeriana e, nel corso di diversi viaggi tra il 1968 e il 1970 in Biafra, raccontò quello che successe in quel “lembo d’Africa tropicale”. Un conflitto poco seguito dai giornali fino a quando la tragedia di tanti bambini che morivano di fame immortalata da Cagnoni non colpì l’opinione pubblica mondiale decretando il successo di quegli scatti che anche Life Magazine pubblicò più volte.

Ancora, in mostra, reportage di Mimmo Jodice nei quartieri di Napoli; di Gianni Berengo Gardin su riti, feste religiose e domestiche degli zingari di Palermo; di Sebastião Salgado e la sua denuncia sull’abuso dei diritti umani dei minatori della Serra Pelada, in Brasile, e di Ferdinando Scianna sulle feste religiose in Sicilia.

Una carrellata di scatti che, in parte, hanno raccontato una parte della storia che noi tutti già conosciamo e che, invece, per altri versi è ancora da scoprire e approfondire. 

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