Nella montagna di panna programmatica, montata da Renzi nel corso dei suoi discorsi per la fiducia, uno dei rari argomenti con la consistenza di vera proposta politica è quello relativo all’ipotesi di un “Piano nazionale per l’edilizia scolastica”. Ossia l’apprezzabile proposito di rimettere in sicurezza la miriade di strutture fatiscenti dove studiano i figli degli italiani, spesso perfino in aule dove incombe il rischio di crollo del soffitto e varie catastrofi.

Se, nell’attuale revival democristiano in sedicesimo, Enrico Letta ripropone la “tipologia Aldo Moro” (il rinvio come tecnica per congelare i problemi), il neo premier reincarna in tono minore l’iperattivismo all’Amintore Fanfani. Difatti se la missione del suo rottamato predecessore si giocava tutto all’interno dello schema di partito (sfinire i Cinque stelle con la simulazione del riformismo); ora il mandato è quello di illudere un corpo elettorale tra il disperato e il furibondo, tentato al 50 % dal richiamo a defezionare, con la simulazione del movimento (un po’ come il criceto che corre a perdifiato nella ruota). Il senso per cui tutti si dicono “renziani”, nel Pd a rischio di perdere la pole position. Sicché, in questo gioco dei revival, la proposta del “Piano Scuola” ha un’evidente assonanza con quel “Piano Casa” del 1949, grazie al quale l’allora ministro del Lavoro e Previdenza sociale Fanfani riuscì a realizzare 300 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica e si conquistò sul campo l’appellativo di “cavallo di razza” (l’altro era – appunto – Moro).

Sebbene Letta e Renzi come cavalli risultino “a dondolo”, l’idea del “Piano Scuola” sembra buona. Ha un sentore newdealistico di stampo rooseveltiano che impone attenzione sulla sua fattibilità. Anche perché l’edilizia è il volano economico che produce effetti positivi immediati, di cui ci sarebbe estremo bisogno. Purtroppo – a ora non risulta che i principali interlocutori del progetto – comuni e sistema imprenditoriale, dunque Anci e Ance – siano stati coinvolti in qualsivoglia progettazione operativa. L’Ance – pur dichiarandosi pronta a incontri operativi – si limita a far presente che l’investimento necessario si aggirerebbe sugli 8 miliardi, l’Ance, dichiarando il proprio convinto assenso, rimanda a suoi studi sui residui di somme destinate a investimenti e mai spese in quanto smarrite nei soliti meandri burocratici. Domanda: dove trovare le somme per realizzare quelle che a oggi sono solo apprezzabili dichiarazioni d’intenti? Il dirigente di una regione del Nord, che preferisce restare anonimo (la nota attitudine al “non fare prigionieri” del Renzi induce qualche timore), si lascia andare a una ipotesi: “O è un pokerista, o è un matto o ha un accordo”.

E tenendo per buona la terza (anzi, sperandoci) c’è chi richiama un fatto su cui riflettere: la prima telefonata del nuovo premier è stata con Angela Merkel. Fatto importante perché il “Piano Scuola” – in attesa di più che problematiche manne dal cielo – può essere finanziato solo allentando i vincoli del Patto di Stabilità dell’Unione europea; operazione per cui l’assenso tedesco diventa decisivo. Come tale benevolenza già si è rivelata decisiva per la Spagna, che gode di condizioni molto migliori delle nostre. Renzi ha in testa tutto questo? La sua imperscrutabilità rispetto ai numeri sta rivelandosi assoluta, tanto da lasciar supporre una vera e propria allergia. Se così non fosse, ci sarebbe un’ulteriore conferma dell’analisi sconfortata che faceva giorni fa Fabrizio Barca: “Questi non hanno un’idea che sia una”. E il nostro premier aumenterebbe il tasso di somiglianza con un personaggio dei fumetti che forse i più anziani ricordano: sulle pagine de il Monello, un giornalino pubblicato dai primi anni 30 fino al 1990. Si chiamava “Superbone”, un ragazzotto tronfio e cacciaballe.

Il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2014

 
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