Vincono quasi ovunque i renziani e quasi ovunque l’affluenza è bassa, anche se non è disponibile un dato ufficiale. Qua e là – ormai quasi fisiologici – voti contestati o accuse di brogli. Ma soprattutto lo scorporo delle primarie regionali dalle primarie nazionali di dicembre stravinte da Matteo Renzi ha prodotto qualche contrattempo all’ennesimo ricorso del Pd alle urne e ai gazebo. Un po’ per stanchezza (come denunciato tempo fa da diversi circoli democratici bolognesi) un po’ per disinteresse (anche perché in 5 casi su 16 sono stati presentati candidati unici o di fatto tali), questa volta l’elettorato democratico ha lasciato perdere. Difficile dire se, poi, ci sia un valore “aggiunto” dato dalla manovra di palazzo e la guerra intestina grazie alla quale Renzi – con una giravolta – ha estromesso l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta da Palazzo Chigi. Un esempio è quello del Lazio, dove in teoria si è vissuta la sfida più vivace con un derby tra il vincitore Fabio Melilli (sostenuto da parte dei renziani, riconducibili all’AreaDem di Dario Franceschini, e dei cuperliani) e Lorenza Bonaccorsi (renziana pura, per così dire). Ebbene, qui si passati dai 120mila voti del 2002 ai circa 50mila di ieri. Affluenza dimezzata, insomma. Certo, c’è sempre chi cerca di togliere il filtro del pessimismo: “Il risultato del Lazio è di tutto rispetto – dice Goffredo Bettini, già braccio destro di Walter Veltroni – se 30mila grillini in tutta Italia decidono votando in Rete, si parla di un fatto di grande democrazia, mentre, se in 50mila vanno di persona a votare, oltretutto versando un contributo di 2 euro, si parla di flop della partecipazione”.

La minoranza del Pd ha provato a dare la colpa della notevole flessione di partecipazione alla mossa della scorsa settimana di Matteo Renzi per arrivare al governo: “La drammatica caduta di partecipazione alle primarie per l’elezione dei segretari regionali – ha affermato Stefano Fassina – è il riflesso della brutale scelta avvenuta giovedì scorso in direzione nazionale con la sfiducia votata a Letta. Larga parte del popolo democratico non ha capito quanto avvenuto e ha inviato un chiaro segnale. Inoltre, ieri in tante regioni ha pesato l’assenza del passaggio nei circoli cosicché il voto è apparso come uno stanco rituale plebiscitario per sancire accordi chiusi da un ceto politico autoreferenziale. Il Pd deve riflettere molto seriamente su quanto sta avvenendo e correggere la rotta prima di ricevere altre amare sorprese”. Chi ha buon gioco è Pippo Civati, unico dirigente democratico a votare contro la relazione di Renzi che in direzione nazionale ha archiviato in un paio d’ore l’esperienza di governo di Enrico Letta tanto da minacciare di non votare la fiducia (con controminaccia di espulsione nelle migliori tradizioni democratiche). “Più che simpatizzanti, antipatizzanti. Non so se ci rendiamo conto di cosa facciamo” ha detto Civati dal seggio di Monza.

A tutti risponde il responsabile Enti locali del partito Stefano Bonaccini: “A chi cerca di speculare sulle primarie per eleggere i segretari regionali basterebbe rispondere che i risultati dell’affluenza cambiano e molto a seconda delle sfide in campo”. E spiega: “Laddove i confronto è più acceso, il numero delle persone che si sono recate ai gazebo è più alto; diverso ovviamente il caso in cui c’è un candidato unico”. “Ricordo fra l’altro – conclude – che la decisione di scorporare le regionali dal voto nazionale fu presa mesi fa tra molti contrasti e qualche opposizione netta. I dati di oggi testimoniano che le perplessità per quella decisione evidentemente erano fondate. Altro che speculazioni strumentali”.

Sul rischio autoreferenzialità denunciato da Fassina – non che sia una novità – può esserci spazio per una discussione. In 12 regioni su 16 hanno vinto candidati definibili come “renziani” – anche se a gradazione diversa e con le alleanze variabili da caso a caso – e in 5 di queste il candidato era unico: Fulvio Centoz in Valle D’Aosta, Roger De Menech in Veneto, Antonella Grim in Friuli Venezia Giulia, Dario Parrini in Toscana, Michele Emiliano in Puglia. Per la mappatura completa prendiamo in prestito il riepilogo dell’organo democratico Europa. Gli altri renziani che vincono sono Davide Gariglio (Piemonte), Alessandro Alfieri (Lombardia, sostenuto anche dai cuperliani), Giacomo Leonelli (Umbria, sostenuto anche dai Giovani Turchi e dalla presidente di Regione Catiuscia Marini), Francesco Comi (Marche, appoggiato anche da AreaDem e Cuperlo), Micaela Fanelli (Molise, nome condiviso con i civatiani), Assunta Tartaglione (Campania), Fausto Raciti (Sicilia, su di lui la convergenza dei cuperliani). Questo quindi a sottolineare la conferma di una linea uscita stravincente dal congresso nazionale di dicembre. L’unico segretario regionale non renziano puro già eletto è Fabio Melilli (Lazio), anche se aveva il sostegno dei franceschiniani oltre che di Cuperlo. Dovranno passare dal ballottaggio i congressi regionali in Liguria e Alto Adige. Nel primo caso la sfida sarà tra Alessio Cavarra (area Renzi) e Giovanni Lunardon (che si porta dietro i cuperliani, AreaDem e alcuni renziani). Gli altoatesini dovranno invece scegliere tra Liliana Di Fede (AreaDem, Giovani Turchi e Civati) e Mauro Randi (Renzi): la prima ha superato il 50% dei voti ma non dei delegati eletti. Quindi il confronto finale si sposterà in assemblea.

Resta, infine il caso Calabria, che apre il capitolo dei risultati contestati o comunque sub iudice e dei presunti brogli. A 24 ore dalla chiusura dei seggi non ci sono ancora i risultati definitivi. Il renziano Ernesto Magorno è sicuro di aver vinto al primo turno (“Anche alla luce di alcuni ricorsi presentati dalla nostra lista”), mentre il cuperliano Massimo Canale parla di “una partecipazione e un risultato straordinari: la sfida democratica continua al ballottaggio, in assemblea”. 

Non sono mancate le tensioni in altre zone d’Italia. A Salerno Guglielmo Vaccaro (lettiano) ha occupato una sede del partito denunciando brogli mentre a Cosenza due dirigenti sono finiti addirittura alle mani. In Campania il partito aveva inviato due osservatori, il responsabile nazionale degli Enti locali, Stefano Bonaccini, e quello per la Comunicazione, Francesco Nicodemo per i quali non ci sono state anomalie particolari. Ombra di brogli anche in Liguria: un giovane militante del comune di Sarzana (La Spezia) ha parlato di presunte “irregolarità” nel voto al seggio di Olmo con “incongruenze nel registro dei votanti e nel fondo dei contributi al voto”. Subito il candidato renziano Cavarra, vincitore in quel collegio e in lizza per la conquista della segreteria, ha chiesto alla commissione di garanzia regionale di invalidare il risultato emerso in quel seggio. “Ritengo – afferma Cavarra – che il risultato non debba essere screditato dai dubbi legati alla trasparenza e alla regolarità del voto. Non voglio ombre sul risultato che abbiamo traguardato”. Senza dimenticare il caso Marche, dove ha vinto Francesco Comi: qui il grande escluso è stato il sindaco di Pesaro Luca Ceriscioli. Non ha potuto correre perché incompatibile in quanto primo cittadino. Mentre Michele Emiliano è diventato serenamente segretario regionale in Puglia e il segretario nazionale Matteo Renzi lascerà la carica di sindaco di Firenze solo perché diventerà presidente del Consiglio. 

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