Il microfono fa un fischio, il vento un soffio e per un istante ci sono mille volti che ti fissano. Puoi essere David Foster Wallace, Annie Lennox o Michelle Obama, ma il silenzio di centinaia di sguardi toglie il fiato anche al più bravo degli oratori. Tremano per un attimo le ginocchia e poi bisogna partire. Anche se si è allenati. La scena sempre uguale è quella di un commencement speech in un’università degli Stati Uniti. Discorsi di celebrazione da dare in dote a chi si laurea, spiegazioni sulla vita e il destino delle quali si incaricano le personalità di spicco, cuori valorosi e vite uniche da scrivere nel taccuino e sfogliare insieme all’album di foto venti anni dopo.

Da segnare sui libri di storie c’è la volta in cui John F. Kennedy ha detto alla classe del 1962 di Yale che la pace era possibile: “La nostra attitudine è pensare che non si possa realizzare o che sia irreale. Questo è pericoloso, è una convinzione disfattista. Ci porta a pensare che la guerra è inevitabile e che siamo bloccati da forze incontrollabili”. Ai neolaureati di quell’anno, il Presidente decise di parlare del mondo e della possibilità di cambiarlo: “I nostri problemi sono umani e quindi possono essere risolti dagli uomini. E un uomo può essere tanto grande quanto vuole”.

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