Giornalisti, attenti a quello che scrivete su Internet o a quello che scrivete su carta e che viene ripreso dalla vostra testata sul web. Grazie al nuovo Regolamento Agcom, vi potreste trovare cancellato l’articolo in tre giorni, senza saperlo. Vediamo il perché.

Il regolamento, da poco approvato,  include l’attività giornalistica tra le attività passibili di rimozione. Lo prevede il punto p)  dell’art. 1, che qualifica come“opera digitale”: un’opera, o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e  i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d’autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica. Quindi, anche un articolo di giornale ma anche una testata on line, che ovviamente è un’opera editoriale, così come ovviamente i blog, o le testate amatoriali.

Vediamo cosa può succedere con un esempio pratico. Una testata pubblica un articolo su un soggetto pubblico, che chiede una rettifica al giornale. Il giornale non pubblica la rettifica. A questo punto io, che sono molto arrabbiato con la testata e/o con il giornalista, avvio la procedura di rimozione dell’articolo o del sito di fronte ad Agcom, sostenendo che in una parte dell’articolo c’è un plagio. L’Agcom dovrà per forza aprire un fascicolo e prendere in considerazione la mia segnalazione, perché il plagio potrebbe effettivamente esserci, e quindi, nel caso di una segnalazione come di migliaia, la pratica dovrà comunque avere un seguito.

Sì, certo, Agcom potrà anche archiviare, ma io mi metto di ‘buzzo buono’ e comincio a mandare centinaia di segnalazioni su un giornalista, tanto segnalare non costa nulla e non sono previste sanzioni per chi non dice la verità. E il giornalista e il direttore? Potrebbero non sapere nulla, anzi probabilmente non ne sapranno nulla, visto che l’unico soggetto a cui deve essere inviata per forza la comunicazione non è il giornale o il giornalista, ma il provider.

L’ordine, infatti, verrà  inviato con certezza all’unico soggetto che può risultare conoscibile, ovvero l’Internet service provider o l’hosting provider, cioè la società che consente alla testata di occupare uno spazio virtuale per pubblicare  il  proprio sito. Se il provider non vuole storie, come accade usualmente, perché ovviamente non può stare dietro alle richieste di tutti, cancellerà l’articolo o anche il sito, prima che qualcuno tra il giornalista o il direttore se possa accorgersene. A quel punto la testata dovrà andare di fronte al Tar, spendere 4.000 euro per ripristinare l’articolo e, se non lo fa in 60 giorni, il testo sarà definitivamente cancellato.

Ricapitolando, se io ritengo una testata o un blog scomodi, non dovrò far altro che segnalarli all’Agcom chiedendone la rimozione. Gli editori sono convinti che in questo modo potranno proteggere i propri diritti d’autore. Non si rendono conto che i giornali sono composti da giornalisti, da direttori, da redazioni telematiche o da luoghi virtuali (il sito Internet della testata) e che espongono in questo modo la stampa – tutta la stampa –   ad una autocensura per evitare rimozioni.

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